Ginnastica. Cassina, le confessioni di Igor
Olimpiadi di Atene, 23 agosto 2004. Alla sbarra un “marziano” ha appena concluso un esercizio d’oro. Il telecronista Rai, Andrea Fusco, non riesce a trattenere l’adrenalina: «Guardatelo bene. Ha un aspetto umano, ma è un punto esclamativo pervaso d’energia, venuto dallo spazio. Si chiama Igor Cassina, signori. Si chiama Igor Cassina. E non ce n’è per nessuno». Con lo stesso impeto ricorda quella finale il ginnasta azzurro, oggi quarantenne: «Quel giorno ho realizzato un sogno. E quella data mi ha cambiato la vita. Il telecronista ha colto nel segno perché. avvicinandomi alla ginnastica artistica all’età di dieci anni, mi ero catapultato in un mondo tutto mio, estraniandomi da tutto il resto». Il punto più alto di una carriera fantastica ripercorsa ora nell’autobiografia scritta con Ilaria Leccardi Igor Cassina. Il ginnasta venuto dallo spazio (Bradipolibri, pagine 204, euro 15). Da Seregno all’olimpo di una disciplina nella cui storia ci sarà per sempre il suo nome per aver brevettato il “movimento Cassina”. Un palmarés da gigante, in cui spiccano argento e bronzo mondia-le, oltre ad argento e due bronzi europei. Una passione mai abbandonata, anche oggi che la sua vita è lontana dalla pedana, perché sarà ancora nelle vesti di commentatore televisivo ai Mondiali di ginnastica artistica in programma a Montréal (Canada) dal 2 all’8 ottobre.
Gli anni passano, ma per gli sportivi italiani lei rimane ancora “il punto esclamativo” di Atene 2004.
«Mi capita spesso di rivedere il filmato della gara in giro per convegni e incontri in tutt’Italia. Eppure ogni volta scorgo qualche dettaglio a cui non avevo fatto caso. Mi colpisce l’esultanza nel video dei miei genitori: si vede nei loro occhi una felicità incredibile».
Una prova perfetta ad Atene per lei che invece nel libro ribadisce «la perfezione non esiste».
«Sì, credo che l’essere umano in qualsiasi ambito, non solo nello sport, debba essere cosciente dei propri limiti. Anche perché pensare di essere stati perfetti genera la convinzione che non si potesse far meglio. E invece bisogna sempre essere motivati a migliorarsi e a dare di più».
Ripercorrendo la sua carriera parla di rinunce e non di sacrifici.
«I sacrifici fanno parte della vita quotidiana. Però nel mio caso trovo più corretto parlare di rinunce. La palestra è sempre stata la mia priorità per questo rinunciare per esempio ad andare a ballare non è stato un “sacrificio”. Ero contento di dire “no grazie non posso” perché volevo allenarmi. Certo non sono riuscito a dedicare tanto tempo alle amicizie, ma era inevitabile se volevo raggiungere i miei obiettivi di atleta».
E dire che ha scoperto la ginnastica quasi per caso.
«Sì, avevo cominciato a 5 anni col judo perché da bambino non stavo mai fermo. Poi però quando giunse il momento di indossare il judogi non volevo saperne: non mi piacevo. Allora cominciai ad andare in palestra con mia sorella Mara in palestra. E con la ginnastica fu amore a prima vista».
Decisivo fu anche il suo primo idolo, il sovietico Dimitri Bilozerchev.
«È stato il più giovane ginnasta a vincere un titolo mondiale, quando aveva solo sedici anni. Poi in un incidente stradale si frantumò la tibia e gli vennero applicati oltre quaranta chiodi nella gamba. I medici lo davano per spacciato e invece lo vidi in tv ritornare al campionato del mondo e vincerlo. Divenne il mio idolo anche perché io stesso avevo rotto la tibia. Cominciarono allora a chiamarmi “Bilo” che ancora oggi è il mio soprannome».
Un modello è stato per lei anche un altro monumento della nostra ginnastica, il “signore degli anelli” Jury Chechi.
«Era già la punta di diamante del nostro movimento quando io ho iniziato. E quando ero ancora ragazzino sentirsi dire da lui “bravo vai avanti così” mi è stato di grande stimolo. Mi ha ispirato molto per la sua tenacia e la sua determinazione. Non sprecava mai una salita all’attrezzo. Era un “robottino”, sapeva quel che doveva fare e non sbagliava».
Nonostante la ginnastica sia uno sport individuale lei sostiene che i risultati non si raggiungono da soli.
«L’80 per cento dei miei successi lo devo ai miei genitori e mia sorella. Grazie alla mia famiglia sono riuscito anche a laurearmi in Scienze motorie e ho avuto l’occasione di andare a insegnare a New York. Ma sono tanto riconoscente anche a due allenatori che mi hanno insegnato l’arte di questo sport e ai miei compagni di squadra: non puoi allenarti bene tutti i giorni senza un contesto in cui ci si aiuta l’uno con l’altro. Siamo una squadra anche se sull’attrezzo sei solo tu».
C’è stato un momento in cui ha pensato di non farcela?
«No. Ho sicuramente sofferto per gli infortuni, le operazioni… Ma è proprio grazie agli ostacoli che sono diventato più forte. È stata dura anche la decisione di ritirarmi, ma dentro mi sentivo pienamente contento per quanto avevo ricevuto. Non ho nessuno rimpianto. Ho sfiorato più volte il titolo mondiale e a Pechino 2008 ho pagato una piccola imprecisione, ma ero più in forma di Atene. Eppure le amarezze mi hanno reso una persona migliore. Penso che ci sia un senso in ogni cosa, anche in quegli eventi dove sembra non ci sia. C’è un film che mi rispecchia molto “Le ali della libertà”...».
Dal suo libro emerge anche una forte spiritualità.
«I miei genitori sono molto credenti e mi hanno trasmesso la fede. Ho sempre avuto un rapporto “diretto” con Dio. Quando gareggiavo, ogni sera gli chiedevo di ispirarmi in un esercizio diverso: nel corpo libero, al cavallo…Poi crescendo mi son sentito “egoista”, perché nel mondo ci sono situazioni ben più serie».
All’orizzonte c’è un altro Igor Cassina? Che cosa dobbiamo aspettarci da questi Mondiali?
«Nel settore maschile c’è da lavorare. Ci sono delle buone individualità come Carlo Macchini alla sbarra e Marco Lodadio agli anelli, ma a livello di squadra siamo ancora indietro rispetto ai fasti del passato».
Perché oggi un bambino dovrebbe scegliere la ginnastica?
«Sviluppa tutte le attività motorie di base, come l’equilibrio o la corsa. Una o due ore di ginnastica artistica dovrebbero essere istituite per legge nelle scuole perché dà ai bambini una padronanza del corpo che gli servirà anche nella scelta di altre discipline. La ginnastica è come l’inglese: se non lo conosci è difficile comunicare nel mondo».
Oggi però lei ha intrapreso altri progetti.
«Sì, insieme alla mia compagna Valentina gestiamo un centro a Treviso che aiuta le persone a migliorare il proprio benessere attraverso la nutrizione e l’attività fisica. Ma la ginnastica è la mia vita anche se non la pratico più. Per tre anni ho allenato i ragazzi della Pro Carate portandoli a vincere il campionato per la prima volta nella storia. E non è detto che in futuro non possa ritornare a farlo».
Che cosa vorrebbe trasmettere ai più piccoli?
«La voglia di non accontentarsi mai della mediocrità. Dico sempre che “la fatica di oggi è il risultato di domani”. Mi piacerebbe che ognuno mettesse per iscritto: “Prometto di continuare a inseguire i miei sogni”».