Un percepibile malessere permea le nostre città occidentali. Una crisi demografica senza precedenti – come di gente che non ha più voglia di continuare la sua storia. Il diritto a nascere, ad avere un padre e una madre, il senso del matrimonio, la stessa differenza biologica fra uomo e donna, tutto viene messo in discussione. Si può pensare di “affittare” l’utero di una donna per averne un figlio, o chiedere, e ottenere, di essere aiutati a morire. Le evidenze che fino a cinquanta anni fa erano il fondamento del nostro convivere, si sgretolano. Assistiamo a un moltiplicarsi di pretesi “diritti” individuali, come l’esasperazione del tentativo di autodeterminarsi, nell’illusione di essere, così, più felici.
C’è tra i cristiani chi si affanna a ribadire i valori della tradizione, ma sembra a volte una fatica di Sisifo, che non ferma l’avanzare del “nuovo mondo”. Quello che profeticamente don Luigi Giussani intuì già nel 1985, quando scrisse: «È come se non ci fosse più nessuna evidenza reale se non la moda, perché la moda è un progetto del potere». Julián Carrón, erede di Giussani alla guida di Comunione e liberazione, nel suo
La bellezza disarmata (Rizzoli, pagine 364, euro 18.00) da oggi in libreria, ripercorre questa crisi, questi, come li chiamò Heidegger, «sentieri interrotti». Una riflessione profonda sull’oggi e su quello che i cristiani hanno a fare, a fronte di ciò che l’autore definisce, senza sconti, un «crollo delle evidenze» in cui le generazioni precedenti hanno vissuto. Il «misterioso, denso letargo» in cui galleggiano molti occidentali è, secondo Carrón, il risultato di una riduzione dell’Io, dell’originario desiderio di vita e felicità dell’uomo, ad opera di una cultura dominante che, come avvertiva già Bernanos, logora, impoverisce, confonde. Il pericolo attuale è insomma quello denunciato da Giovanni Paolo II, quando ventilò l’abolizione dell’uomo, del desiderio del cuore dell’uomo, da parte del potere.
Minaccia a fronte della quale non basta contrapporsi dialetticamente, o richiamarsi a valori non più universalmente condivisi. La sfida è più radicale, e secondo Carrón ci porta al centro della
Evangelii gaudium di Francesco, quando vi si afferma che per alcuni la battaglia per la difesa dei valori è divenuta più importante rispetto alla comunicazione della novità di Cristo. Osservazione da meditare, alla luce del richiamo di Francesco: Cristo “primerea”, viene prima, precede ogni cosa. Da meditare anche nell’eco di Giovanni Paolo I: «Il vero dramma della Chiesa che ama definirsi moderna è il tentativo di correggere lo stupore dell’evento di Cristo con delle regole».
Abbiamo bisogno, è stato detto, di testimoni, più che di maestri. Di uomini che abbiano incontrato Cristo e siano capaci di mostrare la bellezza di questa sequela. La umana bellezza del cristianesimo, o come nel titolo di questo libro, “la bellezza disarmata”. Quel fascino che si trasmette senza proclami, che non spinge l’altro a difendersi, ma semplicemente si contagia, se incontriamo qualcuno che vive in un modo diverso, e più umano. «Abbiamo bisogno di uomini che tengano lo sguardo diritto verso Dio, imparando da lì la vera umanità»: questo è Ratzinger. È interessante come la voce di pontefici diversi riecheggi nel libro come in un’unica assonanza, riassumibile nella sintesi delle parole di Benedetto XVI all’inizio della
Deus caritas est: il cristianesimo non è una decisione etica, ma un incontro.
Parola, quest’ultima, cara a don Giussani e ai suoi, incontro come scintilla che fa nascere una domanda, e intravedere il principio di una risposta. Il testo di Carrón pare dunque un tornare sulle righe de
Il senso religioso, il libro fondante di Giussani, e rivisitarlo, mostrandone tutta la profezia, oltre quarant’anni dopo; alla luce di Francesco, del suo travolgente “Cristo primerea”, del ricordarci che prima di ogni parola o legge o valore c’è Cristo, e l’incontrarlo nella faccia di un uomo. Dalle parole di Giussani a Ratzinger a Francesco, il filo di un ritorno all’essenziale.
Perché questa è in verità l’unica forma in cui il cristianesimo si tramanda, di madre in figlio, da professore ad alunno, da amico a amico: attraverso un uomo. Tutto il resto viene dopo, dentro a questa pienezza: il desiderio di avere dei figli cui trasmettere questa certezza, o di sposarsi per sempre, contando sulla grazia di Cristo, che ci accompagni. Quanto fragili sono le parole, anche le più dotte, a fronte di chi ci testimonia che si può vivere così, più intensamente uomini, in Cristo. Carrón cita il teologo e mistico bizantino Nicolas Kabasilas: ci occorrono «uomini che hanno in sé un desiderio così possente che supera la loro natura (..) Questi uomini sono stati colpiti dallo Sposo stesso. Egli stesso ha inviato ai loro occhi un raggio ardente della sua bellezza. L’ampiezza della ferita rivela già quale sia lo strale, e l’intensità del desiderio Chi sia colui che ha scoccato il dardo».
A una tale bellezza i cristiani sono convocati. A questo dovremmo educare, nella accezione più ampia del termine, i nostri figli. Non a piccoli desideri, a un tranquillo quieto vivere. Ma a riconoscere nella realtà il segno buono che la marchia nel profondo, e a lasciarsi, dalla “bellezza disarmata” di Cristo, sedurre e condurre, per i suoi sentieri.