Docufilm. Carlo e Alberto, i due focolarini amici per sempre (Video)
Due giovani che hanno creduto nell’amore di Dio e che hanno dimostrato come l’amicizia spirituale possa diventare una via per la Santità. Sono Alberto Michelotti e Carlo Grisolia, due giovani amici, membri del Movimento dei Focolari fondato da Chiara Lubich, per i quali nell’ottobre dello scorso anno si è chiusa la fase diocesana della causa di beatificazione. Nell’attesa di sapere se la Congregazione per le Cause dei Santi riterrà valide tutte le informazioni fornite e, soprattutto, se esiste il miracolo avvenuto per la loro intercessione che consentirà di proclamarli beati, possiamo saperne di più su di loro grazie al documentario Amici per l’eternità: Alberto e Carlo, realizzato da HM Televisione (web tv della Fondazione Euk Mamie) e disponibile dal 18 agosto su YouTube. (Vedi sotto)
Grazie ai filmati e alle testimonianze raccolte, il documentario ci restituisce l’immagine di due ragazzi come tanti altri: la scuola, gli amici, le gite in montagna, le canzoni con la chitarra. Che però, rispetto a tanti coetanei, avevano qualcosa in più: il desiderio non solo di raggiungere la santità, mettendo Dio al centro della loro vita, ma, anche, di farlo insieme. Tanto che, se saranno santi, pur con due distinte cause di beatificazione, lo saranno insieme. Del resto, dal momento del loro incontro, i due giovani sono davvero cresciuti insieme, nella vita e nella fede. I due, Alberto, nato a Genova il 14 agosto 1958 e Carlo, nato a Bologna il 29 dicembre 1960, si conoscono nei Gen, la diramazione giovanile del Movimento dei Focolari.
Sono molto diversi tra loro: Alberto studia ingegneria, è estroverso, sportivo e con la stoffa del leader: «Non si vantava della sua intelligenza, diceva che era un dono di Dio» ricorda la madre Albertina, che ammette di avere «trovato la fede quando Alberto è mancato. Era in una chiesina su un lettino da montagna con intorno tutti i fiori di campo che gli piacevano tanto. Mi sono inginocchiata, ho visto i suoi occhi socchiusi e sorridenti e ho detto: 'Dio, allora esisti veramente». Lui diceva sempre: “Sai cos’è la cosa importante, mamma? Essere pronti, perché la vita appartiene a Dio”».
Alberto è morto il 18 agosto 1980, in un tragico incidente in montagna, sulle Alpi Marittime, a soli 22 anni. Al suo funerale non ha potuto parteci- pare l’amico Carlo perché proprio quel giorno è stato ricoverato con la diagnosi di un cancro molto aggressivo che lo ha portato via quaranta giorni dopo, il 29 settembre. Carlo, come dicevamo, è molto diverso da Alberto: studente in Scienze Agrarie, è un giovane introverso che rivela i suoi profondi sentimenti nelle canzoni che accompagna con la chitarra. «Era cresciuto in parrocchia ed era molto contento quando è entrato in contatto con i Gen – ricorda la madre Clara – . Inizialmente l’aveva presa come un divertimento poi, però, pian piano certe parole gli entravano dentro. Era affascinato dalle parole di Chiara. Diceva: “L’hai capito, mam-ma, cosa vuol dire farsi Uno?”. Credeva davvero che Dio è amore, è Padre e ci possiamo sempre mettere in rapporto con lui».
Nonostante le differenze caratteriali, il sodalizio tra i due giovani è proficuo e duraturo e non conosce crisi. Ad unirli è la passione per Dio e la presenza di Gesù in mezzo a loro: «Quella di Alberto e Carlo è stata una chiamata all’amore che, però, era sempre concreta – ricorda l’amica Marta Chierico – . Alberto era il cristiano tipo: se vedeva una difficoltà, si lanciava senza pensare. Non ti lasciava mai in pace, soprattutto se ti vedeva triste e preoccupato». Le stesse attenzioni le aveva Carlo: «Una volta mi ha visto triste e mi ha messo tra le mani un foglietto. Sopra c’era scritta una frase di Chiara Lubich: “Tutte le volte che sentirai la disperazione dell’anima e continuerai a sorridere e a parlare agli altri di speranza ti sembrerà di fare una commedia, ma è la Commedia Divina, è essere Gesù abbandonato”. Quella frase, quel Gesù in mezzo che consola, mi ha aperto una visione della vita che non si è più interrotta».
Dal momento della morte di Alberto, Carlo, ricorda sua sorella Matilde, «ha iniziato la sua volata ed è sempre stato in donazione. In ospedale si era fatto portare la chitarra per allietare i pomeriggi delle persone anziane ricoverate. Pregava incessantemente il Rosario, anche quando non aveva più voce, e ha potuto ricevere fino all’ultimo l’Eucaristia, anche se solo con piccoli frammenti di ostia perché non riusciva a deglutire». Certo, i momenti di buio non sono mancati: «In quei momenti non sentiva Dio ma dopo c’è stata la luce. Diceva: “Dite a tutti che sono contento di andare incontro a Gesù”. E alla mamma ha detto: “È il momento del salto in Dio”». Proprio come l’amico Alberto, che definiva la morte «un tuffo in Dio» e non si stancava di ripetere: «Amare, amare tutti, spaccare il cuore per far uscire il vero amore. Noi dobbiamo dire di sì, un sì che si ripete sempre nella nostra vita. Gesù significa tutto, possiamo fare qualsiasi cosa se è fatta per Lui».
Guarda il docufilm: