L’estrema complessità della teologia come «scienza» rischia di essere un ostacolo insormontabile per gli studenti che faticano a orientarsi nella pluralità delle discipline esegetiche e storiche, teoriche e pratiche. E l’oggetto proprio della teologia stessa, la fede in Dio, rischia di allontanarsi mano a mano che si penetra nel groviglio dei testi, delle correnti interpretative e delle teorie. La sfida dell’insegnamento della teologia oggi è affrontata con coraggio dal teologo Christoph Theobald (gesuita, professore di Teologia fondamentale e dogmatica al Centre Sèvres di Parigi e direttore di Recherches de Science Religieuse
) nel volume La lezione di teologia. Sfide dell’insegnamento nella postmodernità
, in uscita a giorni dalle Edizioni Dehoniane di Bologna (pagine 48, euro 5) e da cui qui anticipiamo un brano. Theobald ha all’attivo diverse opere uscite in Italia, fra cui Il cristianesimo come stile. Un modo di fare teologia nella postmodernità
(Edb 2010), La recezione del Vaticano II
(Edb, 2011) e La teologia di Bach. Musica e fede nella tradizione luterana
(Edb, 2014).Ci capita, fra insegnanti, di lamentarci per la mancanza di cultura dei nostri studenti, la mancanza di metodo di lavoro che avrebbero dovuto imparare alla scuola superiore, il loro scarso sapere catechistico. Tuttavia, frequentando maggiormente le donne e gli uomini che vengono a seguire i nostri corsi di formazione, si scopre che il loro approccio alla società, alla chiesa e alla fede manca effettivamente di un solido fondamento storico, ma è aperto alla pluralità delle culture e delle religioni; si scopre che non hanno molta familiarità con i metodi classici delle «scienze umanistiche», ma sanno usare molto bene il web, restituendo le conoscenze sotto forma di una gigantesca enciclopedia dai confini indistinti; si scopre soprattutto che hanno bisogno di precisi punti di riferimento per sostenere la loro identità cristiana, sottoposta a dura prova in una società nella quale il cristianesimo appare ormai come una forza fra molte altre. Essendoci immersi, il pluralismo radicale in materia culturale e religiosa influisce sul rapporto intimo che intratteniamo con la nostra propria identità e più specificamente con la nostra fede. Dobbiamo riconoscere che quest’ultima è, nella maggior parte delle persone, indebolita nella sua pretesa universalistica e ultima; ciò che si manifesta spesso con riflessi identitari, addirittura intransigenti, in materia di conservazione dei segni e simboli più visibili della sua identità. Il ventaglio delle modalità di gestione della propria identità cristiana e della combinazione di questi diversi fattori, insieme a molti altri, è evidentemente molto ampio, ma si costituisce a partire da un nuovo rapporto con la verità, compresa piuttosto in termini di autenticità e di normatività che abbordata dal punto di vista della sua universalità e trascendenza.La terminologia della modernità è ancora adeguata per indicare la scomparsa dello zoccolo culturale che è stato formato dal cristianesimo e lo ha sostenuto nel corso del secondo millennio? Se si è più sensibili alla permanenza delle grandi caratteristiche e dei grandi valori dell’Europa moderna e meno preoccupati dell’involucro mitico nel quale sono stati trasmessi, si manterrà il termine, segnalando eventualmente l’indubitabile radicalizzazione attraverso il vocabolario di «ultra-modernità». Se, invece, si è impressionati dal fenomeno della globalizzazione, dalla pluralità delle tradizioni ormai in interazione e, soprattutto, dalla contestazione e dalla scomparsa di quello zoccolo culturale che è l’umanesimo classico della vecchia Europa a vantaggio del «realismo» della vita quotidiana, allora si preferirà parlare di «postmodernità», dovendo in questo caso proteggere il termine dal malinteso di una cancellazione di quei vettori fondamentali dei tempi moderni che sono l’autonomia, la libertà e la creatività.L’estrema complessità della teologia come «scienza» rischia di essere un ostacolo insormontabile per lo studente che fa fatica a orientarsi nella pluralità delle discipline esegetiche e storiche, teoriche e pratiche, ognuna con la sua propria forma e le sue specifiche esigenze metodologiche. In alcune di esse, l’erudizione gioca un ruolo importante, richiedendo apprendimenti supplementari: lingue antiche e moderne, scienze umane, come la linguistica o la sociologia, storia della filosofia. L’oggetto proprio della teologia che è la fede in Dio sembra allontanarsi sempre più dallo studente, man mano che egli penetra nel groviglio dei testi, delle correnti interpretative, delle teorie. Pensava di trovare rapidamente alimento per la sua fede e si scontra con la stessa mancanza di trasparenza e con la stessa differenziazione interna dei campi che incontra nella società contemporanea.Di qui la grande sfida di fargli subito comprendere l’unità interna della teologia, una sfida che è più ampiamente quella di tutta la nostra civiltà postmoderna, segnata dagli effetti perversi di un’estrema differenziazione delle sfere culturali o campi dell’esistenza, minacciata dalla violenza che ne deriva e alle prese con la sfida dell’unità dei soggetti, dei gruppi e delle società.Nella misura in cui oggi questo radicamento cristiano, considerato in passato dallo studente come una sorta di rivestimento culturale, non è più scontato, bisogna attivare i legami fra teologia ed esperienza spirituale: i maggiori autori del XX secolo lo hanno saputo fare, oltrepassando la secolare scissione fra teologia scientifica e teologia spirituale. La riabilitazione postmoderna della nozione di «esperienza», l’interesse per la narratività e il concetto di «testimone» vanno in questa direzione. Lo stesso insegnante viene recepito anzitutto come testimone del Vangelo di Dio, prima di essere valutato dagli studenti sulle altre sue competenze. Questo perché è chiamato a mostrare i suoi «détours» (Paul Ricoeur) attraverso la filosofia e le scienze umane e la necessità di un minimo di erudizione per il raggiungimento dell’unico obiettivo che è l’esercizio e l’intelligenza dell’esperienza della fede.