San Vittore. Carcere, la libertà viaggia sulla Nave
La mostra “In Transito. Un porto a San Vittore“ alla Triennale di Milano: una vetrata del reparto La Nave © Nanni Fontana
C’è una “Nave” al quarto piano del terzo raggio di San Vittore, la casa circondariale al centro di Milano. Una nave per i detenuti «in transito», verso una nuova vita. Un reparto speciale dove più che in altri spazi di detenzione si cerca di dare forma e corpo «al più disatteso fra gli articoli della Costituzione», il 27: «Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato». Nella Nave le celle sono aperte per dodici ore, una rivoluzione quando nacque il reparto sedici anni fa, il 14 luglio del 2002, per volere dell’allora direttore Luigi Pagano (oggi Provveditore regionale dell’amministrazione penitenziaria, mentre San Vittore è diretto da Giacinto Siciliano). Dodici ore in cui si susseguono attività psicoterapeutiche, lezioni sulla legalità, gruppi di studio sulle droghe e sulle dipendenze, gruppi di scrittura e di lettura, musica, teatro. E poi via via un giornale (“L’Oblò”), lavori di cartonaggio, yoga, il coro, il calcio e il rugby. Tanti «impegni» per riempire di contenuto quel «transito» e la vita di detenuti che la normalità, in altri contesti, costringe a bivaccare senza meta, in luoghi anonimi e alienanti. «Senza nulla da fare, senza nulla da imparare». La Nave (la responsabile è Graziella Bertelli) è prima di tutto un sevizio sanitario – ora legato alla Asst Santi Paolo e Carlo nell’ambito del Servizio dipendenze aree penali – per arginare e combattere la dipendenza da sostanze, in previsione di un affidamento a servizi di recupero e reinserimento fuori dal carcere.
Un percorso che non è un «privilegio», ma una «fatica doppia»: «la fatica di condividere con gli altri nel reciproco rispetto, luoghi, spazi e regole; la fatica di fare i conti con il proprio passato, con la propria malattia, con la possibilità di un cambiamento». E crederci. Fino in fondo. Una esperienza raccontata con bravura e delicatezza dal fotografo milanese Nanni Fontana in una mostra dal titolo “In transito. Un porto a San Vittore” promossa dall’Associazione Amici della Nave che si può visitare gratuitamente fino al 20 gennaio alla Triennale di Milano nell’ambito del progetto “ti Porto in prigione”. Al primo piano del palazzo dell’Arte le sbarre del terzo raggio si aprono per il visitatore alla scoperta di un mondo apparentemente così lontano. Il fotografo per un anno ha frequentato la struttura, ha conosciuto i detenuti, si è confrontato con loro. E li ha fotografati. Immortalandone «la volontà e le speranze di un passaggio verso una vita migliore per sé stessi e per la società che saprà accoglierli».
Guardando le foto di Fontana si sente magicamente il coro intonare un canto di libertà, come l’urlo dei calciatori dopo il gol appena segnato o la carica che abbracciati si trasmettono i giocatori in una partita di rugby. Si avverte la serenità dei semplici momenti di vita quotidiana, della lettura in biblioteca. Si respira la nostalgia di un detenuto albanese che guarda fuori dalla grata, sotto la bandiera con l’aquila nera a due teste. «Sono cresciuto davanti a San Vittore – spiega il fotografo indipendente Fontana –. Il carcera era lì, ma l’ho scoperto solo da grande, con mia moglie impegnata nel giornale “L’Oblò”. Mi sono avvicinato e ho lentamente maturato il desiderio di realizzare un percorso fotografico che raccontasse quello che avviene dentro. La sofferenza, la speranza di chi è costretto a vivere quella dimensione. Il rispetto di chi prova a rinascere, a riscattarsi». In fondo la fotografia è stata una rinascita e una rivincita anche per Fontana, che negli anni dell’università, da studente in economia alla Bocconi, desiderava trovare un senso diverso del suo andare. Un viaggio in Mongolia gli aprì orizzonti diversi: «Completai comunque gli studi e sono oggi orgogliosamente bocconiano – continua –, ma ho seguito la mia passione».
Il catalogo che accompagna la mostra riporta alcune testimonianze dei detenuti. Come quella di Gennaro: «Ho sempre visto il negativo nel prossimo, ho sempre pensato che tutti avessero uno “scopo di lucro”. E quindi mi comportavo di conseguenza, anticipando la fregature. Ora ho capito che non erano gli altri a essere sbagliati». O di Pancrazio, che a volte si chiede: «Vale la pena fare la vita che ho fatto?». Percorsi in transito, verso una nuova vita. Disposti a metterci la faccia. A ripartite dai propri errori. «Mi ha colpito molto che questi ragazzi – aggiunge Fontana – abbiano dato il loro consenso a farsi fotografare posticipando il loro diritto all’oblio. In un tempo in cui la gente si fotografa per spirito puramente edonistico, loro hanno accettato di comunicare la loro vita in transito, cogliendo in questo un sincero amore per il lavoro che viene fatto nella Nave». “Ti Porto in prigione” è anche una serie di incontri, dibattiti, una collezione d’arte all’interno di San Vittore. Per conoscere il carcere, capirlo, guardarlo con occhi diversi, senza pregiudizi, stereotipi e luoghi comuni. La riflessione sullo spazio, il tempo, la vita e la libertà. Il prossimo appuntamento è per il 15 nel salone d’onore della Triennale con l’«Ora Daria»: Daria Bignardi che dialoga con un ex detenuto sulla bellezza. Mentre il 18, alla Rotonda di San Vittore, ci sarà un approfondimento sull’Articolo 27 con Marta Cartabia e Adolfo Ceretti (per info e iscrizioni info.amicidellanave@gmail.com ). Le porte del carcere si aprono. La speranza viaggia sulla Nave.