Agorà

Archeologia. Nel buio del Carcere il «sorriso» di Pietro

Roberto I. Zanini venerdì 17 febbraio 2017

L’affresco del X secolo all’interno della parte più antica del Mamertino in cui Pietro si volta sorridente verso Gesù.

«Vvoi siete la stirpe eletta, il sacerdozio regale, la nazione santa, il popolo che Dio si è acquistato perché proclami le opere meravigliose di lui che vi ha chiamato dalle tenebre alla sua ammirabile luce; voi, che un tempo eravate non-popolo, ora invece siete il popolo di Dio; voi, un tempo esclusi dalla misericordia, ora invece avete ottenuto misericordia» (1Pt 2, 9-10). Quando redige (detta) queste parole, Pietro è probabilmente a Roma ed è forse possibile che le abbia pensate facendo riferimento a una sua esperienza di carcere. Il 'forse' è d’obbligo. Ma se si entra nella spelonca buia e umida del carcere Tulliano (poi Mamertino, in epoca alto medievale), in cui la tradizione paleocristiana vuole che Pietro sia stato detenuto, l’ipotesi si trasforma in una così forte suggestione da renderla somigliante a una certezza. Quel luogo è davvero invivibile e si può ben comprendere come tornare alla luce dopo esserci stati in catene insieme ad altri, nel luridume dei propri escrementi, possa venire letto come un essere «chiamato dalle tenebre alla sua mirabile luce» e possa fornire conferma della certezza di appartenere al «popolo di Dio», avendo da lui «ottenuto misericordia ».


Niente più di una suggestione, naturalmente. Ma per meglio comprendere il concetto, torna utile questa testimonianza di Sallustio, scritta 150 anni prima dei fatti relativi a Pietro: «Vi è un luogo nel carcere chiamato Tulliano, sprofondato a circa 12 piedi sottoterra. Esso è chiuso tutto intorno da robuste pareti e al di sopra da un soffitto, costituito da una volta di pietra: il suo aspetto è ripugnante e spaventoso per lo stato di abbandono, l’oscurità e il puzzo». Da giugno scorso il Carcere Tulliano-Mamertino è tornato visitabile a conclusione di lunghi restauri che lo rendono fruibile come mai lo è stato, con una vasta offerta di reperti emersi dai nuovi scavi e con buoni supporti tecnologici che rendono possibile, per esempio, di vedere le figure originarie rappresentate negli affreschi VIIIXII secolo, resi quasi totalmente illegibili dall’umidità e dalle numerose sovrapposizioni. La struttura è gestita dall’Opera romana pellegrinaggi e la sua visita (con un apposito biglietto) consente anche l’ingresso ai Fori e al Colosseo. Il Tulliano è un complesso di ambienti integrato nel sistema delle mura difensive poste a protezione del Campidoglio, databili all’età regia e più volte riadattate. A metà del primo secolo d.C. fu monumentalizzato con la costruzione della facciata in travertino. La struttura era probabilmente molto più estesa.

Quella che oggi vediamo è solamente la parte più segreta della prigione, paragonabile alle aree di massima sicurezza degli odierni carceri. Qui erano rinchiusi e giustiziati i prigionieri di Stato, i capi di popolazioni nemiche e illustri rivoltosi. Qui furono detenuti Giugurta re di Numidia (104 a.C.) e il principe dei galli Vercingetorige (46 a.C.), i partecipanti alle rivolte di Caio Gracco e di Catilina, oltre che il potentissimo prefetto del pretorio di Tiberio, Lucio Elio Seiano, accusato nel 31 d.C. di voler sostituire l’imperatore. Per i colpevoli di reati comuni c’erano le 'Lautomiae', carceri ricavate nelle cave di tufo lungo i fianchi del Campidoglio, non lontane dal Tulliano. In questo senso il carcere consente uno spaccato interessante della vita della Roma antica e della sua capacità di conquistare il mondo. Visitandolo oggi lo si comprende appieno, posto com’è a poche decine di metri dal palazzo senatorio, a conclusione della Via Sacra, che da qui si vede per inte- ro, attraversare i Fori fino al Colosseo.


I condottieri romani di ritorno dalle campagne militari percorrevano in trionfo la Via Sacra con i loro prigionieri più importanti. Si fermavano nei vari templi per dare culto di ringraziamento agli dei e giunti al Tulliano vi gettavano dentro (da una botola posta in alto) le loro prede di guerra e si dirigevano verso il Senato e il Campidoglio. Secondo alcuni archeologi il significato di questa procedura potrebbe avere radici antichissime, forse confermate negli ultimi scavi dal ritrovamento di resti umani risalenti al X secolo a.C. fra i quali un uomo col cranio fracassato e le mani legate dietro la schiena. Questo, unito al fatto che il carcere è costruito su una sorgente (esce dalla pavimentazione ed è ancora ben visibile), fa pensare che l’area fosse luogo sacro anche prima della fondazione di Roma. Un luogo dedicato a una qualche divinità delle acque sotterranee, che sgorgano dal mondo degli inferi. In quest’ottica la parola 'tullianum' potrebbe venire da 'tullus', polla d’acqua sorgiva.

Se così fosse si aprirebbero curiosi risvolti sul carattere speciale di questo carcere in cui venivano confinati i re, i capi di Stato nemici di Roma quasi fossero simbolicamente dati in pasto alle potenze degli inferi e quindi totalmente cancellati alla vita. Poi, pragmaticamente, Giugurta, per fare un esempio, viene strangolato da un legionario (secondo Eutropio) o fatto morire di fame (secondo Plutarco). Il carcere è disposto su due livelli uno sull’altro. La parte più antica, quella superiore, è fatta risalire all’epoca del quarto re di Roma, Anco Marzio (640-616 a.C.). La parte inferiore, il Tulliano vero e proprio, risalirebbe a Servio Tullio (578-534 a.C.), da qui l’altra possibile origine del nome.

Oggi, al di sopra di essi, vi è una cappella fatta costruire da Pio IX per conservare il crocifisso ligneo del 1400 che era collocato fuori dal carcere ed era oggetto di culto. Questa cappella sorge in quelle che erano le cantine della sovrastante e bellissima chiesa di San Giuseppe dei Falegnami. Edificata su disegno di Giacomo della Porta a partire dal 1597, la si deve alla confraternita dei falegnami. Al suo interno alcuni dipinti di pregio, fra i quali una Natività di Carlo Maratta (1650) e uno stupendo oratorio affrescato sotto la direzione di Marco Tullio Montagna. Ma torniamo all’area sottostante con i suoi tremila anni di storia. La grande scritta sul portico di ingresso: 'Mamertinum. Prigione dei SS. apostoli Pietro e Paolo' è, in realtà, una forzatura storico-giuridica. Paolo era cittadino romano, non era un nemico dello Stato e quindi aveva diritto a un diverso trattamento in attesa di giudizio (i romani usavano il carcere solo prima del giudizio: morte, schiavitù, lavori forzati, liberazione...) ed è certo che abbia 'goduto' di qualcosa di simile ai nostri arresti domiciliari. Riguardo a San Pietro, come abbiamo detto, è la tradizione che lo colloca in questo carcere prima del giudizio che lo porta a morire crocifisso sul colle Vaticano. Non c’è alcun documento che giustifichi questa ipotesi, se non la devozione stratificata nei secoli.

Con certezza sappiamo che nel 314 Papa Silvestro vi fa costruire una cappella che dedica a San Pietro in Carcere, a testimonianza che già da molto tempo si riteneva che quello fosse il luogo di detenzione di San Pietro, in cui il primo Papa battezzò bel 47 fra detenuti e carcerieri, con lui morti da martiri. Sempre secondo la tradizione da qui vengono le catene che avrebbero legato Pietro e che Papa Leone nel 432 accostò a quelle della detenzione dello stesso Pietro a Gerusalemme (raccontata negli Atti), portate a Roma da una pellegrina su dono del patriarca ierosolimitano Giovenale. A contatto le catene si fusero miracolosamente e sono conservate nella basilica di San Pietro in Vincoli. La secolare devozione petrina al Tulliano- Mamertino, dicevamo, è testimoniata anche dagli affreschi. Fra questi ce n’è uno che raffigura Pietro e Paolo insieme e uno, davvero suggestivo, in cui Cristo appoggia la mano sinistra sulla spalla di Pietro, che ha una espressione sorridente. Una pittura quasi ingenua, ma è forse l’unica al mondo in cui il principe degli apostoli è raffigurato col sorriso.

Un altro unicum sono i resti parzialmente leggibili della prima raffigurazione conosciuta della Madonna della Misericordia, che avvolge il popolo sotto il suo manto. Negli scavi, accanto al carcere, è emersa, con numerosi cocci di vasellame, una fornace per la cottura della calce risalente al III secolo: la stessa utilizzata nel Rinascimento per la costruzione del Palazzo Capitolino su progetto di Michelangelo. Infine una curiosità. Fra i tanti reperti anche molti resti di semi di frutta, datati al primo secolo d.C. e fra questi alcuni semi di limone: i più antichi di questa essenza trovati in area mediterranea.