Il caso. Caravaggio va all'asta e nessuno si presenta
"Giove, Nettuno e Plutone" eseguito nel 1597 da Caravaggio nel Casino dell’Aurora
Era, a detta di molti, l’asta del secolo. Iniziata ieri alle 15 con un prezzo di base di 471 milioni di euro e rivolta ad alcune migliaia di ricconi selezionati in tutto il mondo (pare che Bill Gates fosse molto attirato e che dividesse l’interesse, come ormai capita spesso di ascoltare, con un emiro del Qatar), l’asta per il Casino Ludovisi a Roma, che doveva durare 24 ore, si è invece chiusa quasi subito perché deserta. Forse col sollievo di molti che si erano mossi con una petizione affinché lo Stato intervenisse per evitare che il complesso, avvolto da un bellissimo parco fra Villa Borghese e via Veneto, fosse venduto a privati che avrebbero potuto rendere il bene inaccessibile (in realtà, è già di privati da sempre). Considerando che per il Salvator Mundi attribuito disinvoltamente a Leonardo, venne pagata l’iperbolica cifra di 450 milioni di euro – a proposito che fine ha fatto il “capolavoro”? Si dice che solchi perennemente il mare sullo yacht di un principe arabo – e considerando che quello fu il prezzo più alto mai pagato per un’opera d’arte, l’idea che la valutazione del Casino dell’Aurora, altresì detto Ludovisi dalla famiglia che ne è proprietaria da quattro secoli giusti giusti (da quando cioè nel 1622 Gregorio XV lo comprò per regalarlo al nipote Ludovico Ludovisi), superi il valore del Salvator Mundi, è un paragone che tenta molti, ma in realtà è infondato.
Se dovessimo stare alle valutazioni di mercato e tenendo presente che il Casino prende il nome dal Carro dell’Aurora dipinto sul soffitto da Guercino nel 1621, e, soprattutto, che contiene il dipinto su muro di Giove, Nettuno e Plutone eseguito nel 1597 da Caravaggio (quindi non un affresco, come si dice spesso erroneamente) per il cardinale Francesco Maria Del Monte, suo protettore e primo proprietario dell’immobile, beh, dovremmo rivedere molto il paragone: intanto parliamo di beni per lo più inamovibili; di una collezione di oggetti artistici e pittorici imparagonabili per ampiezza e importanza storica con la tavola presunta leonardesca; inoltre, l’intera proprietà, contro i timori delle cassandre di turno (poteva mancare il solito Montanari?), potrebbe anche veder trasformata la sua funzione in qualcosa di diverso da quello che è stata fino alla morte nel 2018 dell’ultimo discendente dai Boncompagni-Ludovisi, il principe Niccolò. In questi tempi di crisi sognare forse non è forse quanto di più consigliabile, meglio stare coi piedi per terra ed essere prudenti: ma perché non sperare che l’insieme finisca nelle mani di un nuovo proprietario disposto a investire per valorizzare il bene a vantaggio della propria immagine ma anche del pubblico, cioè come luogo di promozione culturale e artistica aperto agli amanti dell’arte?
D’accordo, non esageriamo coi desiderata. In fondo, chi compra ha diritto di fare quel che meglio crede... Sbagliato. Le leggi italiane sono improntate a fare in modo che la gente possa godere di questi tesori anche se nelle mani di privati. Anzi, la fruizione – come si dice con un brutto termine – è stabilita dallo Stato come un dovere dei proprietari. La domanda da farsi però è questa: come mai l’asta è andata deserta? Qualcuno ne era certo da tempo. La vendita si era resa necessaria perché fra gli eredi del principe non si era arrivati a un accordo nella divisione dei beni. L’intera proprietà è certo impegnativa per chi l’acquista, se vuole rispettare i vincoli posti dalle leggi italiane (e il principe in passato aveva più volte ricordato quanto fosse onerosa: oggi si stima che i restauri costino circa 11 milioni di euro).
Ora sembra ci sia già un nuovo appuntamento per il 7 aprile, quando l’asta verrà riproposta, e a quel punto – come accade di solito – il prezzo base dovrebbe scendere di circa il 20%. Si può pensare che ci sia dietro una strategia per acquistare il bene a un valore molto più basso dei 471 stimati dallo storico Alessandro Zuccari su richiesta dei magistrati; può darsi, ma potrebbe anche essere una tattica contraria ai benefici d’immagine che di solito si portano dietro queste operazioni: se si raggiunge un prezzo mai prima toccato in un’asta, ecco che subito l’aura del denaro dà uno slancio assoluto nell’immaginario collettivo all’aura artistica. In realtà, considerando i valori del Caravaggio – di cui si è parlato per una seconda versione della Giuditta decapita Oloferne emersa a Tolosa un paio d’anni fa, stimata 150 milioni di euro (ma molto dubbia nella sua attribuzione) oppure l’Ecce Homo che nell’aprile scorso fu messo all’asta come anonimo a Madrid e che ora, dopo una clamorosa attribuzione al Merisi, è in mano al Prado per le verifiche e il restauro e si dice possa valere anche cento milioni di euro – è difficile credere che il Casino dell’Aurora spunti prezzi tanto più bassi delle stime proposte, anzi verrebbe da dire che mandare deserta l’asta sia un modo, ancora poco chiaro, per giocarsi, da parte di un riccone, un formidabile coup de théâtre proprio ai fini dei benefici pubblicitari. Si vedrà. Intanto, le cassandre meditano nuove strategie per impedirne la vendita.