Agorà

Gli irregolari. Caputo, la vita e la musica dentro un Sabato italiano

Massimiliano Castellani sabato 29 luglio 2023

Il cantautore romano Sergio Caputo, in tour con "Un sabato italiano 40 show"

Compie 40 anni il brano del cantautore romano al quale cambiò la vita: da pubblicitario divenne un musicista a tempo pieno e di successo La fuga negli Usa, i live, i dischi jazz e ora un tour e un sogno: «Scrivere musiche per il cinema» Continuiamo ad interrogarci sul profondo senso filologico dei testi arcani di Franco Battiato e non ci siamo più soffermati a indagare questi. «Citrosodina granulare, bevo per dimenticare il mal di mare viscerale che questo mondo ci dà». Si tratta di Bimba se sapessi, testo e musica, sopraffina e da rispolverare, di Sergio Caputo. Cantautore romano, classe 1954, idolo dei giovani degli anni ’80, principe, involontario, degli irregolari, nato e cresciuto nell’ultima cantina creativa della musica pop italica, quel Folkstudio che ha tenuto a battesimo, tra i tanti, Francesco De Gregori e Antonello Venditti . « Lì dentro ho ascoltato per la prima volta il meglio del jazz italiano, Maurizio Giammarco, Roberto Gatto… artisti con cui poi avrei suonato. De Gregori l’ho conosciuto dopo ed è una persona che mi sta molto a cuore. Venditti non so come sia possibile, ma ogni mattina mi sveglio e ho in testa una sua canzone e comincio a cantarla – sorride - . Venditti e Francesco Baccini, con cui ho collaborato, li considero con De Gregori i tre più bravi cantanti italiani». Parola di Caputo dal suo buen retiro francese, rigorosamente davanti al mare, «perché io soffro di claustrofobia marina, dai tempi in cui vivevo in California». Eroe dei due mondi, partendo dall’Italia per le Americhe, proprio come il suo Garibaldi innamorato. Altro testo avanguardistico, da analizzare: «E il Garibaldi è ricercato in tutti i mari del sud, ma non si può tagliar la barba per questioni di look... Anita dice “Peppe, quando gioca il Brazil... si va a vederlo in Italy... pensaci Peppì”! ». Per affinità poetiche con Giacomo Leopardi, anche lui si è fatto cantore del sabato e l’estate di quarant’anni fa i jukebox (per i millennials, stereo a gettoni piazzato nei bar) rimandavano a manetta Un sabato italiano. Il successo discografico più sorprendente di quel 1983. «Infatti, all’epoca lavoravo come pubblicitario. Andavo in ufficio, incontravo ogni giorno clienti anche di profilo importante e ci ho messo un po’ di tempo per realizzare che il mio lavoro stava diventando un altro. Quando esplode il fenomeno di Un sabato italiano alla Cgd mi dicono: “Sergio devi andare in tour”. E io la prima cosa che rispondo è: ma come faccio? Devo chiedere le ferie…- sorride divertito - . Poi ho deciso e mi sono completamente buttato nella musica». Un tuffo nell’eldorado del cantar leggero, quello in cui allora contavano le migliaia di copie vendute assai prima dei tour. Lancio mediatico definitivo nella trasmissione altrettanto cult di Carlo Massarini, Mister Fantasy (Rai 1) che manda in onda 8 videoclip delle sue canzoni. «Prima di incontrare quel genio di Massarini avevo fatto un disco con Nanni Ricordi e da pioniere, perché ero stato il primo in Italia: avevo realizzato due videoclip che erano stati girati proprio dalla Rai. Ma non li conosceva nessuno, mentre fu fondamentale la mia apparizione a Mister Fantasy, un programma unico nel suo genere quanto Doc di Renzo Arbore e Gegè Telesforo a cui partecipai dalla prima all’ultima puntata. Lì a Doc era come suonare in un live, perché sul palco c’era gente che sapeva cos’è il sound, oggi se mi invitano in tv confesso che per non azzardare ripiego sul playback». Dal vivo o in playback il Caputo fantasy sbanca ancora nel 1984 con l’album Italiani mambo che attira anche le attenzioni del Molleggiato, Adriano Celentano, che lo vuole come autore. «Mi chiama Caterina Caselli e mi dice: “Sergio, ci sarebbe da lavorare su un pezzo per il nuovo album di Celentano, se vuoi ti mando la cassetta, ma ascolta, mi serve per domani”. Ah... rispondo basito. Era un lavoro complicato, specie per uno come me che prima scrive la musica e poi ci mette delle parole sue. Quella notte mi sono armato di whisky, ho tappezzato la sala di foglietti e ho cominciato a scrivere come un pazzo… Alle sette del mattino, esausto, ho consegnato Susanna che Adriano inserì come pezzo di punta dell’album I miei americani . Non ho saputo più niente di quella canzone, fino a quando l’ho sentita cantare da Celentano in diretta nel suo Fantastico… ». Fantastici anche gli altri due 33 giri caputiani No Smoking e Effetti personali. In mezzo il singolo tormentone, L’astronave che arriva con cui vola tra le stelle per poi sbarcare nell’87 al Festival di Sanremo con Il Garibaldi innamorato. « Ero un nome nell’ambiente già da quattro anni, ma dopo la prima serata sul palco dell’Ariston ero diventato un volto popolarissimo: mi riconoscevano tutti e ovunque mi fermavano per l’autografo. A Sanremo sono tornato altre due volte, ma non fu la stessa cosa, anzi in entrambe le edizioni successive si verificò la medesima situazione spiacevole: la casa discografica che mi aveva portato al Festival mi abbandonava in piena gara perché era stata appena ceduta». Meglio diventare indipendenti, «creai la mia piccola etichetta che va avanti ancora ». Sperimentazione, ancora album da semiologia fin dal titolo come Egomusicocefalo che compie i suoi bei trent’anni e poi tanto jazz. «Quella era la musica che ascoltavo fin da bambino. Mentre mia mamma lavorava da sarta io accendevo la radio e stavo per ore a sentire ammaliato i concerti delle grandi orchestre italiane, come quella di Gorni Kramer o le americane con pezzi di repertorio della Duke Ellington Orchestra ». Passione jazz che si materializza nell’album Effetti personali, impreziosito dalla tromba magica di un’icona quale Dizzy Gillespie. «Me lo aveva fatto conoscere un altro grande, il clarinettista Tony Scott. Tutti dicevano che era un burbero ma con me Tony fu quasi paterno e mi portò Gillespie in studio, un gran regalo, come aver inciso la tromba di Enrico Rava nel mio disco That Kind of Thing... Quando sono andato a vivere in America mi sono sentito finalmente libero di fare la mia musica. Ho realizzato un album strumentale e ho ricominciato praticamente da zero come chitarrista. Con una band ho girato in lungo e in largo gli States, esibendomi nei locali più incensati del panorama jazzistico. E il segno che avevo seminato bene con la mia musica me l’ha confermato l’immagine di un pubblico che ballava sulle note di Italiani Mambo. Poi purtroppo è arrivato l’11 settembre e si è fermato tutto». Biglietto di ritorno per l’Italia nel 2003. E colui che ha cantato il Sabato italiano non poteva che rientrare dalla trasmissione del sabato sera di Rai1. « Mi chiamò Giorgio Panariello al suo Torno sabato e in quella puntata cantai collegato da Urbino. Il mio agente di allora, un piemontese che organizzava concerti a Torino e dintorni, il giorno dopo ebbe un putiferio di richieste per dei live da organizzare in fretta e furia. Mancavo da tanto e c’era troppa voglia di riascoltarmi ». La stessa voglia che c’è questa estate di sentirlo dal vivo (prossima data, il 4 agosto a Telese) nel “Sabato italiano 40 show”. « In quella canzone e in quel disco c’era tutta la mia formazione e l’humus culturale di un Paese che stava cambiando velocemente. Di mio c’era la poesia della Beat Generation, la libertà da animali notturni dei giovani anni ‘80 e poi il cinema di Fellini e Antonioni che mi portava a scrivere per immagini... Ecco cosa mi manca: scrivere musiche per il cinema. Tutti i registi italiani sono miei fan, ma ce ne fosse uno che mi abbia chiesto di comporre una colonna sonora - sorride -. Vorrà dire che appena avrò finito di scrivere il mio terzo libro, girerò un film e ci metto la mia musica, così in un colpo solo divento regista e compositore di colonne sonore». © RIPRODUZIONE RISERVATA Il cantautore Sergio Caputo, classe 1954, in tour con “Sabato italiano show”