Agorà

Riscoperte. Caproni e la difficile arte del maestro elementare

Roberto Carnero martedì 12 settembre 2023

Giorgio Caproni (1913-1990)

Giorgio Caproni (1913 1990) è stato uno dei più grandi poeti del Novecento, ma per gran parte della vita, oltre all'attività letteraria, ha esercitato anche un altro lavoro: quello di maestro elementare. Ora Garzanti pubblica, a cura di Nina Quarenghi, i suoi “Registri di classe” (pagine 336, euro 24,00): un volume che può rappresentare un suggestivo viatico per maestri e professori che in questi giorni sono alle prese con l'avvio dell'anno scolastico. Scrittura e insegnamento sono stati per Caproni due aspetti poco comunicanti tra loro: lo prova il fatto che egli non ha scritto quasi mai poesie dedicate alla scuola. Ma sbaglierebbe chi pensasse che l'attività di docente non fosse importante per lui e che egli avesse scelto questa professione solo per garantirsi uno stipendio. In realtà è vero il contrario: in pochi casi come in questo si vede chiaramente la valenza vocazionale dell'essere insegnante.

Caproni, che era nato a Livorno e a 10 anni si era trasferito con la famiglia a Genova, aveva frequentato una scuola tecnica, dedicandosi contemporaneamente allo studio del violino. A 18 anni, dovendo contribuire al magro bilancio familiare, accetta l’incarico di fattorino presso uno studio legale, rinunciando, con sofferta decisione, agli studi musicali. Intanto la poesia occupa sempre più i suoi giorni e la sua mente, come testimonia la pubblicazione della sua prima plaquette: Come un’allegoria (1936). Diplomatosi da privatista all'istituto magistrale, prende servizio come maestro elementare a Rovegno, paesino montano dell’Alta Val Trebbia, tra Genova e Piacenza. Comincia così una faticosa carriera che dal 1935 si protrarrà sino al 1973. Trasferitosi a Roma nel 1938, prende servizio nella scuola “Giovanni Pascoli“, in una zona popolare e allora periferica della capitale, a sud di Trastevere e Testaccio.

Dopo la parentesi della guerra (che lo vede prima soldato e poi partigiano in Val Trebbia), torna a Roma, riprendendo a insegnare. Nel 1951 passa alla scuola “Francesco Crispi“, nel quartiere di Monteverde, dove rimarrà sino al pensionamento. A scuola non parlava mai del proprio lavoro letterario. Leggiamo in un appunto vergato sul registro dell'anno scolastico 19591960: «La Rai ha trasmesso alcuni miei versi. Sorpresa degli scolari, già colpiti dall’intervista di un quarto d’ora alla tv, dove sono state lette alcune poesie mie, da me commentate, tratte da Il seme del piangere, premio Viareggio 1959. Potenza della radio e della tv! esclamo ironicamente. Ma ho subito smontato i miei piccoli... ammiratori: “Sono il vostro maestro, e voletemi bene come tale”. Il resto... è letteratura! (Et tout le reste – diceva Verlaine – est littérature!)».

Rispetto alla pubblica ribalta alla quale lo consegna la poesia, l'attività didattica di Caproni, scrive Nina Quarenghi, «rimase nell’ombra, ma, proprio come un’ombra», gli «restò cucita addosso (...) per buona parte della vita, e divenne tanto più marcata quanto più sprigionava luce il Caproni poeta e intellettuale, che sempre difese la sua professione, talvolta bistrattata». Leggiamo infatti, sempre nel registro del '59-'60: «Mi sono accorto quanto poco siamo stimati noi maestri elementari, proprio grazie ai miei... successi letterari. “L’Europeo“ in prima fila s’è chiesto come mai io, nonostante tutto, faccio il maestrino di scuola. Come se fare il “maestrino di scuola” fosse un “mestieruccio”, e comunque fosse più facile che “fare” il poeta».

Ma che tipo di maestro era Caproni? I registri restituiscono l'immagine di un insegnante in anticipo sui tempi, attento ai bisogni specifici dei suoi allievi, caratterizzato da un atteggiamento inclusivo (come diremmo oggi), contrario alle punizioni corporali (in anni in cui la disciplina si teneva ancora a colpi di bacchetta) ma capace di tenere a bada l'eccessiva vivacità degli scolari con la propria autorevolezza di docente colto e preparato, propenso ad attribuire maggiore importanza all'empatia con la classe che non agli adempimenti burocratici: « Più che tracciare un piano di lavoro da seguire punto per punto, credo (...) che per questo primo mese », leggiamo nel registro del 1964-1965, «non mi resti altro da fare che chiamare a raccolta tutte le poche virtù che posseggo, e di puntare soprattutto su quell’amore (amore eguale comprensione, eguale intelligenza, eguale conoscenza) che senza dubbio è il primo “sesamo” capace di schiudere ogni porta e di sciogliere ogni nodo. Capire, più che studiare, i bambini di fronte ai quali mi trovo; e capire, più che studiare, me stesso, in modo da potermi adeguare a loro».

Leggere le pagine dei registri ora pubblicati dà la possibilità di entrare nelle classi del maestro Caproni, ripercorrendo un arco di quasi quarant'anni (dal 1935 al 1973), in cui l'Italia cambia profondamente: dagli stenti degli anni del dopoguerra al sempre crescente benessere del periodo successivo. I registri contengono descrizioni delle classi e del profitto degli alunni, le problematiche che si presentano (fino agli anni '50 anche di tipo materiale: la povertà delle famiglie degli scolari, la mancanza dei libri di testo ecc.), le relazioni di fine anno con la segnalazione dei fatti notevoli, ma anche annotazioni di taglio diaristico su ciò che accade in classe e riflessioni sul mestiere di insegnante: «Gli esperimenti “sul buon contegno”, malgrado certi casi che certamente non saranno incorreggibili ma che mi fanno disperare, dà i suoi primi buoni frutti. Ma com’è difficile per un insegnante, com’è faticoso perseverare! Coraggio» (a.s. 1946-1947).

Leggiamo in un appunto del febbraio 1953: «Ho letto ai miei scolari le poesie di Carducci: Teodorico e il Parlamento. L’effetto è stato sorprendente, contrariamente alle mie aspettative. Devo aver più fiducia in loro e in me stesso». È, questo, un invito a osare. A credere nelle proprie capacità di docenti e in quelle dei propri alunni. Un'idea che può servire per cominciare con fiducia anche questo nuovo anno scolastico.