Oggi sappiamo che non esistono più isole e che le frontiere sono inutili. Sappiamo che in un mondo in continua accelerazione, nel quale l’Atlantico si attraversa in meno di un giorno e Mosca parla con Washington in poche ore, noi siamo costretti, a seconda dei casi, alla solidarietà o alla complicità. Negli anni Quaranta una cosa l’abbiamo imparata: l’ingiuria fatta a uno studente di Praga colpiva allo stesso modo l’operaio di Clichy e il sangue sparso sulle rive di un fiume dell’Europa centrale doveva portare un contadino del Texas a versare il proprio sul suolo di quelle Ardenne che avrebbe visto per la prima volta. Non c’era, come non c’è, una sola sofferenza isolata, una sola tortura in questo mondo, che non si ripercuota nella nostra vita di ogni giorno. Molti americani vorrebbero vivere rinchiusi nella loro società che considerano buona. Forse molti russi vorrebbero proseguire nell’esperienza statalista, separati dal mondo capitalista. Non possono, non lo potranno mai. Alla stessa stregua, nessun problema economico, per quanto appaia secondario, è risolvibile oggi al di fuori della solidarietà tra le nazioni. Il pane d’Europa è a Buenos Aires, le macchine utensili della Siberia sono fabbricate a Detroit. Oggi la tragedia è collettiva. Sappiamo allora tutti, senz’ombra di dubbio, che il nuovo ordine che cerchiamo non può essere solo nazionale e neppure continentale, e soprattutto non può essere occidentale o orientale. Deve essere universale. Non è più possibile sperare in soluzioni parziali o in concessioni. Quello che viviamo è il compromesso, vale a dire l’angoscia per l’oggi e l’assassinio per domani. Intanto, la velocità della storia e del mondo non fa che aumentare. I ventuno sordi, futuri criminali di guerra, che discutono oggi di pace, si scambiano noiosi dialoghi, tranquillamente seduti sul bordo della rapida che li trascina verso il baratro a mille chilometri all’ora. Sì, quest’ordine universale è l’unico problema del momento, quello che travalica tutte le discussioni sulla costituzione e la legge elettorale, che pretende da noi l’applicazione di tutte le nostre risorse d’intelligenza e di volontà. Quali sono oggi i mezzi per raggiungere tale unità del mondo, per realizzare questa rivoluzione internazionale, in cui le risorse umane, le materie prime, i mercati commerciali e le ricchezze spirituali possano essere meglio ridistribuite? Il mondo può essere unificato dall’alto da un unico Stato più potente degli altri. A questo ruolo possono aspirare la Russia e l’America. Io, come nessuno di quelli che conosco, non ho niente da controbattere all’idea sostenuta da alcuni, secondo la quale la Russia e l’America hanno i mezzi per regnare e unificare il mondo a immagine e somiglianza delle proprie società. La cosa mi ripugna in quanto francese e ancora di più in quanto mediterraneo, ma non terrò in nessun conto questi argomenti sentimentali. È a tutti evidente che il pensiero politico si trova sempre più superato dagli eventi. I francesi, per esempio, avevano cominciato la guerra del 1914 con i mezzi di quella del 1870 e la guerra del 1939 con i mezzi del 1918. Ma va detto che il pensiero anacronistico non è una specialità francese. Basterà qui sottolineare che, in pratica, le grandi politiche odierne pretendono di regolare il futuro del mondo mediante principi formatisi nel Settecento, per quanto riguarda il liberalismo capitalista, e nell’Ottocento per quanto riguarda il socialismo cosiddetto scientifico. Nel primo caso un pensiero nato nei primi anni dell’industrialismo moderno e, nel secondo, una dottrina contemporanea all’evoluzionismo darwiniano e all’ottimismo renaniano si propongono di adattarsi all’epoca della bomba atomica, delle brusche mutazioni e del nichilismo. Non si potrebbe illustrare meglio il ritardo sempre più disastroso che si produce tra pensiero politico e realtà storica. Certo, lo spirito è sempre in ritardo rispetto al mondo. La storia corre mentre lo spirito medita. Ma questo inevitabile ritardo oggi aumenta in ragione dell’accelerazione storica. Il mondo è cambiato molto di più negli ultimi cinquant’anni che nei due secoli precedenti. Oggi lo si vede accanirsi a regolare problemi di frontiera, quando tutti i popoli sanno che le frontiere sono arbitrarie. È sempre il principio di nazionalità che ha fatto finta di prevalere alla conferenza dei Ventuno.Dobbiamo tenere conto di questo nella nostra analisi della realtà storica. Oggi concentriamo le nostre riflessioni sul problema tedesco, che è secondario rispetto allo scontro tra imperi che ci minaccia. Ma se domani noi concepissimo soluzioni internazionali in funzione del problema russo-americano, rischieremmo un’altra volta di trovarci sorpassati. Lo scontro tra gli imperi è già sul punto di diventare secondario rispetto allo scontro tra civiltà. Le civiltà coloniali, infatti, fanno sentire da ogni parte la propria voce. Tra dieci anni, tra cinquant’anni, sarà la preminenza della civiltà occidentale a essere messa in discussione. Tanto vale, perciò, pensarci subito e aprire il Parlamento mondiale a queste civiltà, perché la sua legge diventi davvero universale e universale sia l’ordine ch’essa sancisce. Sì, oggi quelli che vanno combattuti sono il silenzio e la paura, e con essi la separazione che provocano delle menti e delle anime. Quelli che vanno difesi sono il dialogo e la comunicazione tra tutti gli esseri umani. La schiavitù, l’ingiustizia, la menzogna sono le piaghe che spezzano questa comunicazione e impediscono il dialogo. Per questo dobbiamo rifiutarle. Ma queste piaghe sono ancor oggi la sostanza stessa della storia e per questo molti le considerano mali necessari. È bensì vero che noi non possiamo sottrarci alla storia, che ne siamo immersi fino al collo. Ma possiamo pretendere di lottare nella storia per preservare quella parte dell’uomo che non le appartiene.