Calcio. Campionato arabo, tante stelle molte ombre
L’ultimo Pallone d’oro, Karim Benzema, 35 anni, nuovo giocatore dell’Al-Ittihad, i campioni in carica della Saudi Pro League
È il campionato più chiacchierato dell’estate. Eppure, forse, fino a ieri ne ignoravamo anche l’esistenza. Volenti o nolenti dovremo però familiarizzare con la Saudi Pro League, la massima serie calcistica dell’Arabia Saudita che riparte venerdì 11 agosto in concomitanza con l’inizio della Premier League. Una coincidenza non del tutto casuale, viste le relazioni e la volontà di emulazione del modello inglese. Se finora la maggior parte degli investimenti calcistici in Europa erano arrivati dagli Emirati Arabi e dal Qatar - già proprietari da anni di due dei maggiori club europei, Manchester City e Psg adesso l’attore principale è il Paese che per grandezza e rilevanza geopolitica è il più importante dell’area, l’Arabia Saudita. Il secondo Paese al mondo per riserve di petrolio, già nel 2021 era sceso in campo Oltremanica acquisendo il Newcastle: tramite il fondo sovrano PIF l’ha riportato in Champions dopo una sola stagione grazie a una campagna acquisti faraonica (e quest’anno si è già regalato Sandro Tonali pagando ben 70 milioni al Milan). Ora la strategia è cambiata perché l’ambizione è quella di portare i migliori calciatori del pianeta in patria. I riflettori internazionali sulla Serie A saudita si erano già accesi a gennaio con l’arrivo di Cristiano Ronaldo. Quest’estate però stiamo assistendo a un vero e proprio esodo dei fuoriclasse del pallone verso un campionato che per ora non è neppure tra i primi cinquanta al mondo. La differenza rilevante è che non si tratta solo di “figurine” ormai al tramonto. Ma di giocatori ancora nel pieno della loro carriera. E dire che fino al 1976 qui si giocava soltanto la Coppa del re saudita.
La Saudi Pro League comprende invece quest’anno 18 squadre. Ma è abbastanza scontato che la lotta “scudetto” sarà ristretta ai quattro club controllati dallo stesso fondo PIF: Al-Nassr, Al-Hilal (entrambi con sede a Riad, la capitale), Al-Ittihad e Al-Ahli (entrambi da Gedda, la seconda città del Paese). Campione in carica è l’Al-Ittihad, che si è rafforzato con l’arrivo di Benzema (100 milioni a stagione fino al 2026), Kanté e Fabinho. Soltanto secondo è arrivato l’Al-Nassr nonostante l’ingaggio di CR7 (200 milioni a stagione) e Rudi Garcia in panchina (ora al Napoli). Ma nel frattempo sono già arrivati Brozovic (ex Inter), Mané, Telles e Fofana. La squadra che vanta il maggior numero di titoli (ben 18) è invece l’Al-Hilal, sul trono anche nell’albo d’oro della Champions League asiatica (4 successi). E guida adesso anche la classifica dei club che stanno spendendo di più sul mercato: 178 milioni di euro è già il record mai toccato da un club non europeo in una singola sessione di campagna acquisti.
Qui sono approdati a peso d’oro anche Koulibaly (ex Napoli) e Milinkovic-Savic (ex Lazio). Ma al supermarket europeo sta attingendo con esborsi milionari anche l’Al-Ahli visto che ha già tesserato tra gli altri Marhez, Firmino, Mendy, Ibanez (ex Roma) e Kessie (ex Milan) a cui andrà uno stipendio di 20 milioni netti all’anno. Per la prima volta anche i ricchi (inglesi) piangono, perché anche l’opulenta Premier League che spende e spande nei campionati europei (circa 300 i milioni investiti quest’estate in Serie A finora) è finita nel mirino dei sauditi. E visto che il mercato in Arabia chiude il 20 settembre (20 giorni dopo la Premier e i principali campionati d’Europa) i club inglesi stanno facendo pressioni alla Fifa per evitare che il saccheggio dei giocatori vada avanti anche dopo la finestra estiva. I club della Pro League saudita hanno già speso oltre 400 milioni di euro, il quinto esborso più alto di qualsiasi campionato al mondo.
E tuttavia saranno sufficienti per suscitare l’interesse di un torneo senza storia? Possono fiumi di denaro far fiorire una passione che da queste parti non è certo simile a quella europea? Staremo a vedere se sarà un fuoco di paglia come quello cinese, di sicuro la pioggia di petroldollari sui campi da calcio continuerà almeno fino a quando l’Arabia Saudita avrà la certezza di aver centrato l’obiettivo più o meno nascosto: l’organizzazione di una delle prossime edizioni dei Mondiali, con il 2034 come prima edizione possibile. Rispetto alla Cina però il Paese non parte proprio da zero: si è qualificato a sei degli ultimi otto tornei iridati e ha battuto i campioni dell’Argentina in Qatar. Senza dimenticare che già da alcuni anni qui si disputano la Supercoppa italiana e spagnola e nel prossimo dicembre per la prima volta ospiterà anche il Mondiale per club. La monarchia assoluta saudita si è convinta che il pallone sia lo strumento migliore per i propri affari all’estero e per ripulirsi l’immagine di Paese ostile ai diritti umani. È questa la leva che sta spingendo ad aperture sorprendenti come l’istituzione del campionato femminile di calcio. Ma per rifarsi la reputazione, vanno bene anche altri sport: si spiega così l’attivismo in Formula 1, nel cricket, nel golf e persino negli sport invernali (i Giochi asiatici del 2029 grazie a 500 miliardi di dollari).
È il fenomeno dello “sportswashing” denunciato da tempo dalle organizzazioni umanitarie. L’ultimo rapporto (2023) della fondazione “Aiuto alla Chiesa che Soffre” sottolinea i numerosi casi di repressione e anche tortura degli attivisti per i diritti umani e le tante violazioni delle libertà fondamentali come quella religiosa. E tuttavia il calcio avvicinerà un mondo sempre meno lontano, anche perché la Saudi Pro League sarà visibile in chiaro sulla Tv italiana: La7 ogni settimana (dal 14 agosto) trasmetterà una partita. «Sarà l’occasione per “trasmettere” anche qualche informazione sulla pessima situazione dei diritti umani o l’ennesima vittoria dello sportswashing?» attacca Amnesty International Italia. Venerdì 11 agosto dunque il fischio d’inizio, con la partita inaugurale tra Al-Ahli e Al Hazm, in una stagione che come di consueto si svolge tra agosto e maggio evitando il peggio del caldo estivo, quando le temperature superano abitualmente i 40 gradi. Il sipario calerà il 27 maggio, ma certo la partita dei diritti umani rimane sempre drammaticamente aperta.