Agorà

Calcio. Troppi infortuni, troppe partite: così il pallone scoppia

Antonio Giuliano venerdì 27 settembre 2024

Rodri, centrocampista del Manchester City e della nazionale spagnola

È un ritornello che torna ciclicamente, ma la musica non cambia. “Il calcio si è rotto”: troppi infortuni, troppi tornei, troppe partite… La stagione è appena iniziata, ma l’allarme è già scattato. Il primo ad alzare la voce quest’anno è stato Rodri, giocatore del Manchester City: «Non siamo dei robot, né intendiamo diventarlo. È un calcio, il calcio moderno, sempre meno sostenibile sul piano fisico. Per offrire alla gente qualcosa di più brillante dobbiamo poter riposare». Lo spagnolo ha rilanciato la minaccia addirittura di uno sciopero, caldeggiato peraltro anche da altri suoi colleghi: «Punto di rottura? Sì, e penso che ci siamo vicini. Penso che tutti i giocatori abbiano la stessa idea, chiedete a chi volete. Arriverà un momento...ma non so cosa succederà. È qualcosa che ci preoccupa. Io posso parlare solo di Spagna e City. Ma è qualcosa di cui siamo preoccupati. Ovviamente, la situazione non è uguale per tutti, perché non tutti arrivano a giocare 60-70 partite stagionali, ma l'idea è condivisa». Nemmeno il tempo di finire il discorso che – ironia della sorte – Rodri ci ha rimesso un ginocchio durante la sfida con il Liverpool: tornerà pare in primavera.

Ma da noi le cose non vanno meglio. Ha lasciato attoniti il grave infortunio di Malinovskyi (Genoa) contro il Venezia. La lista però è già lunga in questo inizio di stagione come ha documentato il Corriere dello Sport: Scamacca, Scalvini, Ebuhei, Florenzi, Ilkhan e Schuurs (la stagione scorsa) ci hanno già rimesso un crociato; Milik (ginocchio), Bennacer (polpaccio), Sanchez (polpaccio), Meret (adduttore), Saelemakers (malleolo) ne avranno ancora per qualche tempo. L’ultimo a fermarsi è stato Nicolò Barella per un problema muscolare.Uno stillicidio che va di pari passo con quello che sta accadendo all’estero. Il Barcellona ha perso il portiere Ter Stegen (tendine rotuleo), ma fuori ha anche Dani Olmo, De Jong, Araujo, Christensen e Bernal. Al Bayern mancano Boey, Stanisic, Ito e Neuer. E non va meglio al Psg che dovrà fare a meno di Gonçalo Ramos, Lucas Hernandez, Kimpembe e non pochi altri infortunati di lungo corso.

Come se ne viene fuori? Da tempo si auspica un taglio ai campionati nazionali. Ma se si escludono la Bundesliga tedesca, a 18 squadre, e la Francia, che a 18 è scesa la scorsa stagione, Inghilterra, Italia e Spagna non mollano e rimangono ferme a 20. La nuova Champions, nel frattempo, è passata da 32 a 36; il Mondiale per Nazioni da 32 a 48; la Coppa del Mondo per club - in programma dal 15 giugno al 13 luglio 2025 negli Stati Uniti - ne ospiterà 32. Per non parlare della Nations League, che ha riempito i calendari soppiantando le amichevoli, o delle Supercoppe nazionali emigrate peraltro da tempo verso i lidi arabi. Il risultato è sotto gli occhi di tutti: guardiamo calcio tutti i giorni, che sia campionato (spalmato ormai dal venerdì al lunedì, coppa Italia o coppe europee, è una diretta quotidiana senza fine.

Ma i “colpevoli” sono solo gli organismi che governano il pallone? Il Telegraph ha rigirato la frittata: «Chi pensa di prendere in giro Rodri?». Se si giocano troppe partite: «Di chi è la colpa? Della Uefa? O del City, dopo la loro acquiescenza a una Champions League rinnovata, a un Mondiale per club di un mese la prossima estate, per non parlare di un tour pre-stagionale post-Europei che si estende da New York a Orlando, da Charlotte a Columbus?». Il quotidiano inglese invita il giocatore a prendersela con il suo club o a fare mea culpa: «Rodri potrebbe accettare un taglio di stipendio commisurato ai suoi impegni ridotti«. Ma sembra difficile che accetti di ridursi «l’enorme busta paga che deriva da un fitto calendario di incontri e dagli enormi accordi con gli sponsor». Alla fine il nervo scoperto è sempre quello economico. Le Tv, gli sponsor, gli stipendi: tutti hanno interesse a spremere il giocattolo. Certo se i match non diminuiscono, dovranno pensarci anche allenatori e preparatori atletici. Ma chi in questo vortice così redditizio avrà per primo il coraggio di dire basta? C’è solo da augurarsi che vengano prese in considerazione le parole di una leggenda come Marco Van Basten, riportate da Eurosport: «Stiamo “mungendo” il prodotto del calcio. Dobbiamo stare attenti che la fame di guardare il nostro sport rimanga nei tifosi».