Addio al calcio “pane e salame”. In un solo colpo “chiudono” le premiate fornerie del pallone di Pisa, Avellino, Treviso, Venezia e Sambenedettese. Club che hanno fatto la grande storia delle provinciali, lanciato decine di talenti, spaventato le grandi in campo e in tribuna con presidenti vulcanici come Romeo Anconetani e Antonio Sibilia. Un passato glorioso rovinato dalla mesta uscita di scena per debiti. Sotto la lente attenta della Covisoc i loro conti risultano pesantemente in rosso: si va dai 12 milioni dell’Avellino, i 15 del Treviso, fino ai 17,7 del Pisa dell’irreperibile presidente Pomponi. «Di tutte queste società, in realtà solo due provengono dal nostro campionato di Prima divisione, Sambenedettese e Venezia. In questo caso i problemi dei dirigenti delle due società sono legati a motivi extracalcistici », si affretta a precisare il presidente della Lega Pro, Mario Macalli. Vero, perchè, Pisa, Avellino e Treviso sono appena retrocesse dalla Serie B. Ma lo scenario fallimentare non è che assuma tinte meno fosche. Lo sostiene l’avvocato Guglielmo De Feis, consulente di “Sport e Diritto” e con trascorsi calcistici in una delle società “can- cellate”, la Samb. «Siamo dinanzi al teatro dell’assurdo, situazioni che hanno poco a che vedere con la pratica sportiva visto che il più delle volte ci si trova a dover accertare la bancarotta fraudolenta o preferenziale - spiega De Feis - .Una società come la Sambenedettese dal ’94 a oggi, è già incorsa in due precedenti fallimenti, con tanto di arresti e fughe misteriose in Tahilandia da parte della proprietà. Il vero problema è che mancano degli organi di controllo che impediscano di arrivare a simili conseguenze, anche se una recidività del genere meriterebbe una ripartenza dalla Terza categoria e non dalla prima serie dei dilettanti. Il tutto, come sempre va a scapito dei tifosi e dell’onorabilità di città importanti anche da un punto di vista culturale, come Pisa e Venezia» . Comuni in cui le amministrazioni piangono sempre dopo che il club è già cadavere da un pezzo. «Mi stupisco di come le amministrazioni locali in questi casi non intervengano preventivamente per salvare il salvabile - continua De Feis - . Il sospetto è duplice: o sono inconsapevoli di mettere nelle mani di personaggi incapa- ci e poco trasparenti i club delle loro città, oppure è semplice disonestà. Purtroppo l’equazione reale e diffusa che passa è sempre più quella di: calcio uguale mondo losco ». In effetti, fino ad oltre la zona Cesarini, le società incriminate di crac e i loro patron, invocano sempre il salvataggio economico con il ripescaggio disperato nei professionisti. Solo Giuliano Zucco, dopo 12 anni al vertice dell’Ivrea, alla fine del torneo di Seconda divisione, in cui il suo club aveva ottenuto la salvezza, ha deciso di rinunciare all’iscrizione al campionato. «Una scelta dolorosa, ma coraggiosa. In un momento di crisi come questo, con il rischio concreto di proprie maestranze in cassa integrazione, Zucco non se l’è sentita di proseguire nel calcio destinando i propri capitali alle famiglie » , ha commentato il presidente Macalli elogiando la scelta isolata dell’ex patron del-l’Ivrea che ora ripartirà dall’Eccellenza. Una delle tante storie di un fenomeno anomalo che per De Feis è assai diffuso. «Stiamo assistendo alla fine di un’epoca e al collasso di un sistema in cui la famosa “spalma- debiti” presentata come una manna da Galliani, è servita solo a salvare le grandi società, ma non club di dimensioni del Treviso che fino a tre anni fa giocava in Serie A». Il Treviso “muore” proprio nell’anno del suo centenario (l’Avellino dopo 97 anni), anche se era rinato appena sedici anni fa, nel 1993. Sorti analoghe a quelle delle tante società che hanno chiuso, lasciando sul mercato un marchio più o meno appetibile e un’armata brancaleone di disoccupati che al momento conta 150 giocatori in cerca di nuova squadra. «Questo sistema ha creato ormai un esubero occupazionale del 100% - dice De Feis - . Paradossalmente, il marchio di un club appena fallito, ma con una forte tradizione alle spalle, diventa molto più appetibile per i potenziali acquirenti che con una spesa minima si portano a casa un pezzo di storia del calcio». Ma come si spiega il fatto che chi cade dalla serie B ha un tale contraccolpo che poi non riesce ad iscriversi al torneo di Prima Divisione? «Per quanto riguarda le società provenienti dalla serie B - chiude amaramente Macalli - posso dire che senza retrocessione avrebbero continuato a giocare. Perchè nella serie maggiore 10 milioni di debiti si tollerano, mentre da noi con centomila euro di disavanzo si va fuori».