Calcio. Addio a Mauro Bellugi, grande stopper e campione di ironia
Mauro Bellugi
Fino all'ultimo, con il sorriso. E la battuta pronta, oltre il dolore. Se ne va Mauro Bellugi, aveva 71 anni, a novembre aveva subito l'amputazione delle gambe causa Covid. Era riuscito a scherzarci, com'era nel suo stile: «Il dottore mi ha tolto la gamba con cui feci gol al Borussia Moenchengladbach (l'unico della sua carriera, ndr), lo volevo denunciare».
Quello gli rodeva, che la malattia gli avesse rosicchiato un bel ricordo. Sognava di tornare a camminare: «Mi farò le gambe nuove, come quelle di Pistorius». Soffriva di anemia mediterranea, era ancora ricoverato all'ospedale milanese di Niguarda, aveva da poco cominciato la riabilitazione. Fatali le complicazioni dovute al Covid. Lascia la moglie Lory e la figlia Giada, lascia soprattutto il ricordo di un uomo che ha sempre preso la vita con l'ironia che le si deve, perché una sana scrollata di spalle ha il potere di conferire leggerezza anche a certe ferite. Col tempismo di certi suoi interventi d'anticipo, Bellugi lascia questa terra alla vigilia di Milan-Inter, il suo derby.
Era nato a Buonconvento, nel senese. I compagni di una vita lo ricordano come un ragazzo simpatico e divertente, era un giocatore poco omologato, portava i capelli lunghi, amava la bella vita, girava con auto sportive, però - all'allenamento - timbrava sempre il cartellino. Il suo nome è legato all’Inter, con cui giocò dal 1969 al 1974: in nerazzurro vinse il celebre «Scudetto della rimonta» - c'era Invernizzi in panchina - nel 1971. L’Inter lo sbolognò in malo modo, lui ne soffrì molto. A rileggere i giornali dell'epoca pare che una delle sue colpe fosse quella di avere una moglie ricca.
Giocava stopper, definizione antica (oggi si dice centrale difensivo), ma modernissima nell’interpretazione di Bellugi. All’olandese, testa alta, buona inclinazione al palleggio, non rinunciava mai a uscire dall'area palla al piede, indicando magari con il braccio teso la traiettoria del lancio. In Serie A ha giocato anche con Bologna, Napoli e Pistoiese, dove chiuse la carriera a trent'anni, presto, ma non ne aveva più voglia e qualche infortunio gli aveva minato quel fisico da gladiatore dinoccolato, robusto senza darlo a vedere.
Di tutto rispetto il suo percorso in Nazionale: 32 presenze e il Mondiale del 1978 in Argentina giocato ad altissimi livelli. Era con gli azzurri, pur senza scendere in campo anche al Mondiale di Germania 74 e all’Europeo casalingo del 1980.
Nel post-carriera si era inventato opinionista nelle emittenti televisive milanesi. Si distingueva per il gusto della battuta, l'analisi lucida e talvolta impietosa verso i giovani colleghi di oggi ma mai arrogante e mai boriosa. C'era sempre una bonomia di fondo nei suoi giudizi, Bellugi partiva con lo scappellotto per un gol sbagliato a porta vuota o un liscio difensivo e poi finiva con una carezza, ridendoci su e invitando la compagnia di giro a farlo, che non c’è niente di più bello al mondo che correre dietro ad un pallone.