Jazz. Cafiso, la mia ballata sul mare con Corto Maltese
Il sassofonista Francesco Cafiso naviga sulle note del suo ultimo album, 'Irene of Boston - Conversation avec Corto Maltese'
C’è un veliero che gira il mondo come in una Ballata del mare salato con Corto Maltese, il celebre marinaio, ironico e gentiluomo, creato da Hugo Pratt. È l’Irene di Boston : costruito nel 1914 in Cornovaglia, ridotto un centinaio di anni più tardi a un ammasso di legno, dopo essersi arenato sul lungomare di Pozzallo, in Sicilia, magicamente riprende vita e torna a solcare i mari. Il sax di Francesco Cafiso parte da questa visione: «Nella mia immaginazione Irene subisce una metamorfosi: i suoi legni e i suoi ottoni diventano gli strumenti musicali di una vera e propria orchestra, restituendole così la vita, per raccontarsi attraverso le note. Irene supera i limiti fisici della corruzione del tempo per abbracciare quel vento che spinge ad andare sempre un po’ più là. Un viaggio, metafora dell’esperienza umana, oltre le isole, i progetti solitari, le rotte prestabilite, i percorsi convenzionali. Un’esperienza unica: essere in mare aperto con la nostra Irene e la costante sensazione di avere Corto in mezzo a noi». È poesia e magia l’ultimo album di Cafiso, 31 anni, ambasciatore del jazz italiano nel mondo: Irene of Boston - Conversation avec Corto Maltese è stato realizzato con la London Symphony Orchestra (prodotto dall’etichetta indipendente Eflat fondata dallo stesso sassofonista, distribuito da Ird), contiene dieci brani originali firmati da Cafiso e arrangiati insieme a Mauro Schiavone.
Il sogno si intreccia con la realtà. Come s’incontrano Cafiso, Irene e Corto Maltese?
Tutto nasce da un’idea dello scrittore Marco Steiner, il più stretto collaboratore di Hugo Pratt, di coinvolgere un collettivo di creativi con lo scopo di sviluppare attraverso l’incontro di più forme d’arte l’idea di un 'appuntamento quasi impossibile' tra la Irene of Boston e Corto Maltese. Nel gruppo ci sono anche il pittore Giovanni Robustelli, il videomaker Vincenzo Cascone, il fotografo Marco D’Anna e l’attore Giulio Forges Davanzati. Abbiamo cominciato dal relitto abbandonato e lasciato morire incredibilmente sulla balata di Pozzallo nonostante fosse davvero un monumento al mare, una icona di quel pezzo di costa ormai da tanti anni. Con una precisa e 'folle' volontà: riportare in vita quell’ammasso di legno. Da Pozzallo abbiamo 'navigato' fino a Venezia, abbiamo girato per la laguna con un trabaccolo per immersi nei luoghi di Corto Maltese… Così, magicamente, l’eroe di Pratt si è trovato a bordo di Irene.
E ne ha preso il timone?
Per la prima volta non ho dovuto 'inseguire' io le emozioni e la vita, ma venivo condotto, come se avessi dovuto solo assecondare le suggestioni e seguire la rotta. Il mitico marinaio ha preso il timone, sì, ci ha portato per mari, ci ha fatto conoscere i suoi compagni di viaggio, le sue avventure, i suoi amori, i suoi timori, i sogni. E io suonavo, in maniera spontanea e naturale.
Il viaggio comincia con l’apparizione di Bocca Dorata.
È lei a proiettarci nel sogno di Irene e Corto. Un’apparizione magica che apre il disco e che lo chiuderà quando poi la sua immagine si dissolverà. In mezzo, seguendo un Far Flow , un flusso lontano, ci si immerge nelle Seasons of a Dream, le stagioni del sogno, prima che Rasputin, con la sua follia cerchi di rompere l’incantesimo… Un viaggio da vivere in musica. D’altra parte c’è molta musica e musicalità nelle storie di Corto. E la musica si muove e risuona e ci culla come le onde del mare. Così un relitto è diventato una nave dei sogni.
Un jazz magico, ironico e più avventuriero del solito?
Sono tanti quadri insieme. Ogni brano, ogni capitolo descrive un momento preciso della storia. Così emergono sonorità e melodie diverse. La sorpresa e la curiosità iniziali, il sogno, le paure, l’incontro con Rasputin, la fluidità dei ricordi, lo spirito avventuriero di Corto, la malinconia mentre lentamente il sogno svanisce…
Quando Bocca Dorata scompare...
E Irene si rende conto di essere solo un ammasso di legni: «E adesso ci sono soltanto queste tavole marce, le unghie ficcate nel legno, prima di scendere per sempre laggiù».
Ma resta la magia di Irene of Boston , il suo messaggio, la sua musica.
Assolutamente, metafora di una vita in cui non si può prescindere dall’incontro con l’altro per crescere, ampliare i propri orizzonti ed esplorare nuovi mondi. Solo così si può continuare a sognare, creare, andare oltre.
E lei, restando nella metafora della realtà, come ha attraversato le mareggiate di questi mesi?
È stata ed è ancora una prova per tutti. Le ho vissute nel mare della Sicilia, a casa. Non lontano da dove si è arenata Irene e da dove è ripartita per il mio viaggio immaginario. Sono stati mesi nella mia terra, con il mio sax.
Il disco si è salvato dal lockdown…
Per fortuna avevamo chiuso tutto il lavoro di registrazione con la London Symphony Orchestra prima dell’emergenza. Fra l’8 dicembre e la fine di febbraio scorsi, fra Londra e Fara Sabina. Ho potuto poi lavorare da casa, qui a Vittoria, durante il lockdown, a tutta la post-produzione. Ho avuto sempre la testa impegnata e questo mi ha aiutato molto a vivere questi mesi senza cedere all’ansia.
Una Sicilia ritrovata, dopo tanti anni trascorsi per lo più Oltreoceano.
La Sicilia è casa. È mare. È la mia musa. Il luogo ideale dove scrivere. È un’isola, la mia isola, anche in senso metaforico. Il rifugio creativo: quando devo scrivere, comporre, tirare le somme di pensieri ed emozioni, vengo qui. Quando proprio ho bisogno di sentire il mare, prendo la macchina e vado a Scoglitti. L’ho fatto tante volte mentre componevo e univo i punti di Irene.
E l’America?
L’America rimane il cuore musicale del mondo. Io ho sempre sentito l’esigenza di costruire un ponte fra la Sicilia e l’America. La Sicilia come luogo dell’anima, dai ritmi rilassanti e meditativi per comporre. New York come centro pulsante, pieno di ritmo, di suggestioni, di fenomeni per esprimermi, per improvvisare, per immergermi nel flusso continuo della vita, di una città che non dorme mai davvero. Una seconda casa a cui devo tutto.
Lei come Nick la Rocca e Tony Sbarbaro, oltre cento anni fa.
In America ho avuto la possibilità di esprimermi e di comunicare il mio modo di intendere il jazz, fra Dixieland, New Orleans e swing. L’America mi ha accolto quando Wynton Marsalis mi ha 'pescato' a tredici anni al Pescara Jazz Festival e mi ha portato in giro per il mondo. È in America che ci sono l’anima e le radici del jazz. Improvvisazione, ironia, cuore. In We play for tips, il precedente album, ho voluto proprio celebrare quel suono primordiale. 'Suoniamo per le mance', era la scritta che molti musicisti di strada portavano sui cappelli a New Orleans. Lo spirito autentico del jazz.
In questo tempo incerto, cosa pensa possa dare la sua musica?
Proprio per l’incertezza e le difficoltà di fare tutto, tanti musicisti e artisti hanno pensato di rimandare le uscite. Io penso invece che non bisogna mai fermarsi. Anzi ho pensato che il nuovo album potesse essere l’occasione per raggiungere tante persone e regalare un 'sogno'. La musica può fare viaggiare con la mente, permette di chiudere gli occhi e sognare, pur restando fermi. Sentirsi liberi e vagare. Come a bordo di una nave. Con Corto Maltese. No, non ci sono barriere per l’immaginazione e la musica.
Dove andrà il veliero del capitano Cafiso?
Mi porterà ancora tanto in giro, anche dopo questo lavoro. E soprattutto quando potremo muoverci davvero nuovamente e non soltanto con la fantasia. Perché ci sono tanti progetti in evoluzione. Tante nuove idee nella cambusa.