Campania Festival. Il «coraggio» di don Diana. C'è un teatro che insegna
“Peppe Diana: il coraggio di avere paura” al Campania Teatro Festival
«Siamo preoccupati. Assistiamo impotenti al dolore di tante famiglie che vedono i loro figli finire miseramente vittime o mandanti delle organizzazioni della camorra. Come battezzati in Cristo, come pastori della Forania di Casal di Principe ci sentiamo investiti in pieno della nostra responsabilità ». Le celebri parole del documento Per amore del mio popolo che don Peppe Diana scrisse e diffuse, nel Natale del 1991, in tutte le chiese di Casal di Principe e della zona aversana, documento diventato poi simbolo della lotta contro il sanguinoso clan dei Casalesi, risuonano con una eco potente fra il verde bucolico del Giardino paesaggistico pastorale di Capodimonte.
Si apre così Peppe Diana. Il coraggio di avere paura che ha debuttato ieri sera al Campania Teatro Festival (replica stasera), spettacolo di prosa e musica di Gaetano Liguori, che ne è anche regista, e Ciro Villano, musiche di Max D’Ambra con Ciro Liucci, la partecipazione di Ciro Esposito e con gli attori dell’Accademia di formazione del Teatro Totò. Il cuore dello spettacolo sta proprio nella produzione di questo teatro di tradizione, punto di riferimento con la sua stagione della comicità napoletana, e da cui sono passati Isa Danieli e i fratelli Giuffré, Alessandro Siani e Biagio Izzo. Una sala situata in uno dei quartieri più difficili di Napoli, San Lorenzo di Caria, diventato tristemente famoso per il fenomeno delle baby gang, che vanta una accademia teatrale dedicata alla formazione professionale e umana dei giovani del quartiere. «Il Teatro Totò è da sempre impegnata nel completare, affrontando tematiche sociali come queste, non solo il percorso artistico dei giovani ma soprattutto quello umano e di vita – ci spiega l’autore e regista Gaetano Liguori, attore di lungo corso che ha lavorato con Steno, Gregoretti e Maselli per prendere in mano 25 anni fa questa bella sala –. Tematiche sociali, argomenti formativi per i giovani attori (300 sono attualmente gli iscritti all’accademia) che il Teatro Totò negli anni ha già affrontato con gli spettacoli: Scetate Maestà ambientato durante la rivoluzione napoletana del 1799, O juorno ‘e San Michele di Elvio Porta dove si affrontava la questione meridionale e Al di là del mare dove si puntavano i riflettori sul femminicidio».
La scena di Peppe Diana. Il coraggio di avere paura si svolge fra la casa di don Peppe, l’interno della chiesa, la sagrestia e il sagrato. Si apre nella chiesa di San Nicola a Casal di Principe, il 19 marzo 1994. È san Giuseppe, sono le 7.25 del 19 marzo e don Peppino Diana dirà messa molto presto quella mattina, poi si recherà ad Aversa all’Itis 'A.Volta' dove insegna. Per il pomeriggio i suoi amici gli hanno preparato una piccola festa per il suo onomastico, ma quella festa e quella messa annunciata per le 7.30 non saranno mai celebrate. I killer della camorra spezzeranno la sua vita con quattro colpi di pistola sparati a bruciapelo con rara ferocia in pieno viso. Lo spettacolo vede in scena una ventina di attori, e fa interagire don Peppino, in un dialogo vivace fra italiano e napoletano, con i ragazzi della parrocchia, gli amici di sempre, ma anche giovani delinquenti che cerca di convincere a cambiare vita, mentre intervengono come in un coro greco le voci del silenzio, della paura e dell’ignoranza. «Peppino tre giorni prima della sua morte, era stato interrogato in procura sui rapporti d’affari tra politica e camorra. Solo qualche mese prima aveva organizzato una fiaccolata anticamorra che aveva coinvolto però solo poche persone – aggiunge il regista –. Aveva firmato un documento di denuncia contro la malavita organizzata, si dava da fare per aiutare gli extracomunitari, lavorava con una comunità che si occupava dei tossicodipendenti e seguiva con passione il gruppo dei giovani scout.
Un prete molto scomodo quindi, per chi fa del ma-laffare una regola di vita». Ecco perché muore a soli 36 anni don Peppe. Voleva educare i giovani alla legalità, al rifiuto della convivenza con la camorra e al suo sistema di potere, si anima Liguori: «Probabilmente questa azione civica quotidiana gli è costata la giovane vita. Ecco quindi che il modo migliore per rendere onore alla sua memoria ci è sembrato quello realizzare uno spettacolo teatrale che ci parlasse di lui, della sua vita, dei suoi dilemmi, dei tanti dubbi che don Peppe aveva avuto anche sull’atteggiamento della stessa chiesa nei confronti dei camorristi». Un lavoro che Liguori e Villano hanno affrontato con il piglio dei cronisti d’inchiesta, supportati dal Comitato don Peppe Diana, incontrando gli amici e i genitori di don Peppino e basandosi su interviste televisive e pubblicazioni. «Ci siamo innamorati della gente buona di Casal di Principe – aggiunge il regista –. Abbiamo parlato con il sindaco Renato Natale, con Valerio Taglione caro amico di don Peppe, con il papà, la mamma e le sorelle che ci hanno raccontato le sue pas- sioni, a partire da quella per il Napoli. Peppe non era un eroe, era un giovane come tutti, era un sacerdote che si difendeva con l’abito talare. Quando venne ucciso don Puglisi ebbe paura, ma continuò a predicare contro la camorra e per la difesa dei più deboli».
A una storia così forte, come hanno reagito i giovani attori? «Il Tribunale dei Minori di Napoli ci ha affidato 10 ragazzi da formare nella nostra accademia – aggiunge Liguori –, per fargli capire che i sogni esistono per tutti. Ecco, questi sono ragazzi che non hanno sogni, hanno solo la verità della delinquenza, non ricevono amore, non hanno esempi e vivono emarginati completamente dalla società. Grazie a teatro tanti di loro sono diventati non solo attori, ma anche macchinisti, tecnici specializzati, ingegneri del suono trovando una nuova strada».