«È sbagliato pensare che il capitalismo è di per sé neutro e che occorre innestare dall’esterno strumenti o meccanismi etichettati come etici per ben correggerlo ed orientarlo. Come sostiene l’enciclica Caritas in veritate , l’economia è invece fin dall’inizio un’attività umana che dovrebbe essere animata e mossa da un’etica di giustizia sociale ed equità. Qualsiasi riforma credibile del capitalismo non potrà schivare questo punto». A parlare è Cécile Renouard, religiosa dell’Assunzione ed affermata economista che ha dato nei mesi scorsi alle stampe, come co-direttrice e autrice, un volume collettivo già al centro di molte discussioni in Francia:
Venti proposte per riformare il capitalismo (Flammarion). Analizzando le crepe all’origine della crisi, la qualificata équipe di autori suggerisce soluzioni generali o talora anche molto tecniche – come l’utilizzo di nuovi metodi matematici nella gestione dei titoli finanziari –, spesso in grande risonanza con l’ultima enciclica del Papa.
Nel volume si sostiene che i mercati non regolati sono «inefficaci, inefficienti e non equi». Occorre passare il timone di nuovo alla politica? «Negli ultimi 20 anni c’è stata una deriva più nel senso di un’assenza che non di un eccesso di regolazione. Anche la teoria economica mostra ormai che i mercati perfetti e completi non esistono. Occorre dunque un inquadramento, anche allo scopo di escludere dal mercato certi beni di particolare interesse pubblico. O quanto meno per limitarli entro forme di partenariato pubblico-privato, come nel caso dell’acqua».
Si tratta di beni che è rischioso lasciare totalmente in mano ad interessi concorrenziali? «È legittimo che un numero estremamente grande di cittadini, auspicabilmente tutti, possano aver accesso a questi beni. Lasciarli in mano al gioco del mercato rischia di restringerne l’accesso. Una delle nostre proposte sottolinea proprio l’urgenza di definire in modo condiviso e democratico una lista di tali beni essenziali per la dignità di qualsiasi vita umana».
Quasi nessuno aveva previsto la crisi. Uno smacco per la scienza economica? «Nell’ultimo decennio sono apparse opere specialistiche che preannunciavano la crisi dei mutui ipotecari e in generale del modello dell’iperconsumo negli Stati Uniti. Ma si è fatto finta di non ascoltare gli avvertimenti. È vero che la professione d’economista è oggi in discussione, in particolare a causa dell’eccessiva specializzazione che finisce spesso per far smarrire la dimensione d’insieme dei processi».
Occorrono nuove istituzioni concentrate sui rischi futuri d’incendio sistemico? «Sì. Ma, al contempo resta aperto il dibattito sui modi per armonizzare il sistema. In certi casi, è meglio incitare gli attori economici ad essere più virtuosi. In altri, conviene invece imporre vincoli rigidi. In questo senso, l’enciclica Caritas in veritate mostra la preoccupazione di promuovere nuove forme di attività economica, dunque pare spesso vicina a un’idea di sollecitazione».
La presunta razionalità dei mercati è stata usata talora come paravento ideologico per coprire la molto meno edificante cucina delle transazioni ordinarie. È d’accordo? «È certamente vero che si è abusato ad arte di espressioni come 'transazioni win-win', ovvero dove tutti uscirebbero vincitori, includendo in ciò pure il rispetto dei lavoratori e dell’ambiente. Almeno a breve termine, è invece ormai evidente che esiste una contraddizione fra gli imperativi sempre più stringenti di ritorno sull’investimento da parte degli azionisti e, solo per fare due esempi, la distribuzione fra i lavoratori della ricchezza creata dall’impresa e il rispetto ambientale. Per questo, proponiamo d’includere nella contabilità d’impresa e in generale di mercato dei parametri extrafinanziari capaci di rispondere a una logica di responsabilità sociale e ambientale dell’impresa. Un’esigenza sottolineata con forza nella Caritas in veritate ».
L’economia in crisi è anche quella delle imprese con assetti proprietari sbriciolati e fluttuanti, anche per via di continue fusioni e acquisizioni. Il modello va rivisto? «Sì, soprattutto per evitare il fenomeno della corsa verso il basso in materia di rispetto delle condizioni di lavoro. Nel settore della distribuzione, ad esempio, i grandi gruppi europei sostengono ormai apertamente che è impossibile evitarla. Occorre dunque almeno uno zoccolo duro di regole in materia sociale comune per tutti. Anche le delocalizzazioni implicano un rischio di corsa verso il basso, senza un minimo di regole condivise. È un percorso estremamente complesso, ma occorre che sia realizzato al più presto almeno in Europa».
Una delle vostre 20 proposte riguarda proprio l’Europa e in particolare la Banca Centrale europea. Perché? «Esiste oggi una contraddizione lampante nell’architettura dell’Unione in ambito economico e finanziario. Accanto alla Bce, che ha un approccio molto tecnico, manca un autentico motore politico su tali questioni. In questo quadro, le missioni della Bce dovrebbero essere quanto meno riviste in modo da renderla più sensibile soprattutto all’obiettivo politico di una crescita economica duratura e socialmente equa. Ma la Bce dovrebbe anche vegliare contro i rischi di bolle speculative nei settori dei titoli finanziari e del consumo, come quelle attuali». La scultura del toro davanti all’edificio di Wall Street Cécile Renouard, economista