Agorà

Storie di calcio. Il bomber Budimir e i suoi amici solidali "on the road"

Vincenzo R. Spagnolo domenica 18 novembre 2018

«Il bene si fa, non si dice», recita un antico adagio. E difatti, se non fosse stato per un paio di foto diffuse qualche sera fa su Facebook dai volontari di Kroton community al termine di un giro per la cittadina calabrese, nessuno avrebbe saputo che il calciatore del Crotone Ante Budimir era salito sul camper “On the road” per portare cibo e bevande calde a immigrati e crotonesi che hanno necessità di un pasto decente. Centravanti spietato nell’area di rigore, fuori dal campo Ante ha un cuore d’oro. Ma di quell’impegno serale, fanno sapere dal Crotone, preferisce non fare pubblicità, come della sua fede cattolica, che ogni domenica non lo fa mancare alla Santa Messa.

Del resto, la stessa società calabrese non è nuova a gesti di solidarietà, come la vendita all’asta su E-bay delle maglie dei giocatori per raccogliere fondi per la mensa cittadina per i poveri intitolata a “Padre Pio”. Cronache di un calcio di provincia blasonato (il Crotone è precipitato dalla A alla B, ma lotta per tornarci) che, insieme ai risultati, si batte per conservare la propria anima e la propria umiltà. Ma Ante non è certo il solo. Perfino nel rutilante show-biz del pallone professionistico nostrano tutto lustrini e paillettes, premi e ospitate tv, rombanti fuoriserie, bei vestiti e vacanze a sei stelle il suo caso non è l’unico. Anzi, a ben cercare, la squadra dei “calciatori solidali”, se vogliamo definirli così, è abbastanza folta. Badate bene, si tratta di solidarietà praticata in silenzio, non strombazzata ai quattro venti. E dunque chi volesse provare a comporre un album con tutte le loro “figurine” non avrebbe un lavoro facile. Molti resterebbero fuori, proprio per via della discrezione degli stessi protagonisti che, dopo anni di interviste sul goal mancato o sulla polemichetta col mister, hanno maturato una sana diffidenza verso le etichette banali e la retorica da talk show.

C’è ad esempio l’imprendibile attaccante del Napoli, Driss Ciro Mertens, tanto spigliato nella metà campo avversaria quanto riservato nell’impegnarsi in favore del prossimo. Solo a marzo, quando ormai su alcuni media era trapelata la notizia delle pizze portate ai clochard, ha postato un video su Facebook: «Non era mia intenzione di far sapere certe cose tramite i social. Visto che alcuni giornali hanno iniziato a scriverne, preferisco postare un video di ciò che ho fatto magari riesco a dare la voglia ad altri di farlo ». Zero retorica, come si vede, piuttosto l’invito a dare una mano. È una solidarietà quotidiana e concreta, che si rimbocca le maniche e non si misura dalle donazioni effettuate, quanto dal tempo dedicato in prima persona. C’è, ad esempio, il capitano del Livorno Andrea Luci, da anni impegnato in favore di progetti per i bambini con malattie rare e pronto ad aderire a iniziative a sostegno di alluvionati o detenuti in condizioni di bisogno. E sempre a Livorno, un ex calciatore divenuto super allenatore, Massimiliano Allegri, alla sua quarta panchina d’oro con la Juventus campione d’Italia, più volte ha “allenato” i bambini con diverse patologie che partecipano ai Dynamo camp, con qualche tenerezza in più di quelle riservate ai fuoriclasse bianconeri.

C’è poi chi, dopo aver appeso gli scarpini al chiodo, ha deciso di non trascorrere il tempo solo fra vacanze dorate, contratti televisivi e investimenti immobiliari. Uno è Simone Loria, classe 1976, roccioso difensore col fiuto del gol che ben ricordano Toro, Atalanta, Roma e Cagliari. Cinque anni fa ha aperto nel quartiere Barriera di Milano, estrema periferia della sua Torino, la scuola calcio Mercadante, dove si insegnano tecniche e tattiche, ma prima ancora i punti fermi di uno sport tendente ad amnesie valoriali: «Il calcio – recita il decalogo di Simone – è onestà, amicizia, rispetto, è un gioco per tutti e deve poter essere praticato ovunque». Nelle scuole calcio, dalla pugliese Andria fino a Ostia, sul litorale romano, si reca pure l’ex centrocampista della Roma Simone Perrotta, calabrese d’origine, una carriera partita dal vivaio amaranto della Reggina fino ad alzare la coppa del mondo nel 2006 con gli azzurri. Da quando è responsabile del dipartimento junior dell’Associazione italiana calciatori, Perrotta contribuisce a veicolare - attraverso gli Aic camp, ai quali partecipano ogni estate ragazzini dai 7 ai 13 anni - una sapiente mescola di fondamentali tecnici e fair play, per imparare ad essere buoni cittadini, oltre che buoni atleti.

«Conosco diversi calciatori noti che prestano attenzione alle persone in difficoltà – racconta il sociologo Pierpaolo Romani, che collabora ai progetti educativi dell’Aic – . Ma lo fanno in silenzio, con discrezione. Non solo perché non amano apparire, ma anche per evitare che malelingue diffondano fake news». Di che genere? «C’è chi potrebbe insinuare che sia un modo di andare sui giornali, anche quando le prestazioni in campo sono opache. E invece non è affatto così». Restando nell’Aic, molto si è scritto della sensibilità sociale del suo presidente Damiano Tommasi, classe 1974, già centrocampista di classe e di testa che nella cavalcata romanista dello scudetto del 2001 fu, a detta dell’allenatore Fabio Capello, «il giocatore più importante». Nella Hall of Fame giallorossa, il suo soprannome è “anima candida”. E molti ricordano quando nel 2005 mentre si riprendeva da un tremendo infortunio - si autoridusse lo stipendio al minimo salariale, 1.500 euro al mese. Obiettore di coscienza, estimatore degli insegnamenti di don Milani, genitore insieme a mamma Chiara di sei figli, Tommasi somma l’impegno sociale a doti manageriali nel settore educativo, affinate nel tempo come accade ai buoni vini della sua Valpolicella.

Damiano racconta con passione l’impegno nel sindacato dei calciatori e quello in altre attività, come la scuola “Bambi e bimbi”, aperta sei anni fa nella frazione di Balconi come nido e materna e ora anche scuola elementare paritaria: «Resto sempre un po’ scettico – osserva – quando sento che, a proposito di qualche calciatore, si mette in relazione l’impegno sociale con un “obbligo morale” a restituire un po’ della fortuna ricevuta. A parte che le storie di molti campioni sono intessute di merito e sacrifici, senza i quali il talento non sarebbe bastato, io credo che debba esserci per tutti un “obbligo” a impegnarsi in favore del prossimo, come cittadini dovremmo tutti fare qualcosa per rendere migliore il luogo nel quale viviamo». Affermazioni semplici, da parte di uno di quei campioni abituati a “giocare generosi”, in campo e fuori. A essere buoni coi fatti, non buonisti a parole.