Agorà

Tennis. Bronzetti: «Semplicità e valori, così ho realizzato un sogno»

Giuseppe Muolo sabato 14 dicembre 2024

La tennista Lucia Bronzetti

Lucia Bronzetti sta spegnendo le candeline. Sono ventisei. È il dieci dicembre. Sta festeggiando con i suoi amici e la sua squadra ad Anzio, dove si allena dal 2017. Sulla torta non c’è nessuna foto, ma ce ne sarebbero state a pennello due: le mani in faccia di Billie Jean King, mentre assiste incredula dagli spalti di Malaga a un suo pallonetto vincente durante la semifinale di Bjk Cup (la Coppa Davis femminile che porta il suo nome), e il grande abbraccio con Tathiana Garbin, la Ct delle azzurre, durante la finale vinta contro la Slovacchia lo scorso 20 novembre. Un trofeo che è ritornato a casa dopo undici anni. E che porta anche la firma di Lucia. Protagonista di due vittorie in singolare da esordiente assoluta con la maglia dell’Italia. Nata a Rimini, ha calcato per la prima volta i campi del circuito maggiore solo nel 2021. Oggi è alla posizione n. 74 del mondo (ma è stata n. 46), ed è entrata a gamba tesa nella storia del tennis azzurro.

Che cosa ha pensato quando ha visto Billie Jean King reagire in quel modo?
«Aver stupito una leggenda del tennis che ha fatto così tanto per lo sport femminile è stato emozionante. Anche se, a dire il vero, non volevo tirarla proprio lì [ride, ndr]. Sono arrivata sulla palla e mi sono detta: “La prendo come posso”».

Mentre che cosa c’era nell’abbraccio con la ct?
«Tutta la felicità di quel momento. Tathiana ha creduto in me. Ha avuto coraggio e mi ha dato fiducia. Mi ha detto all’orecchio: “Sono tanto orgogliosa di te, te lo meriti”».

Non ha creduto solo in lei, ma in tutta la squadra.
«È la persona che ci ha seguito più da vicino in questi anni. Ha costruito questo gruppo che era molto lontano dalle generazioni precedenti. Sembrava quasi impossibile poter diventare campionesse del mondo. Ma lei ci ha sempre spinto a crederci».

Quanto è stato difficile anche per voi starle accanto durante la malattia?
«È quasi come un lutto vivere queste situazioni da così vicino. Avevamo tanta paura di perderla, perché aveva poche possibilità di farcela. Invece ha lottato come una guerriera. Dopo l’operazione [a causa di un tumore, ndr] ci siamo compattate di più. Abbiamo cominciato ad apprezzare anche le piccole cose. Troppe volte diamo per scontato di star bene e ci lamentiamo inutilmente».

Come è iniziata la sua storia con il tennis?
«Avevo dieci anni. Mia zia mi portò a fare una prova con i miei cugini. È stato un amore a prima vista. Avevo praticato anche altri sport, come la ginnastica ritmica, la pallavolo e il basket. Ma nessuno mi aveva conquistato così».

E poi?
«Da lì ho continuato a giocare, anche con l’appoggio di una famiglia che mi ha sempre sostenuto senza mai mettermi pressione, pur non avendo disponibilità economiche così importanti. Per questo ho continuato a frequentare la scuola pubblica, fino alla fine della maturità».

È vera la storia del camper?
«Sì, i miei genitori lo comprarono per poter andare in giro per i tornei e risparmiare le spese degli alloggi. Ma partivamo solo d’estate perché d’inverno andavo a scuola e non potevo fare troppe assenze. Una volta finita la maturità, ho deciso di riservarmi un paio d’anni per provare solamente con il tennis. Nel 2017 ho avuto la fortuna di incontrare i fratelli Piccari [con cui si allena attualmente, ndr] e mi sono trasferita ad Anzio. Hanno investito su di me, aiutandomi anche economicamente».

Prima di partire suo fratello le lasciò un biglietto sotto al cuscino.
«Non me l’aspettavo. Non è mai stato di tante parole. C’era scritto: “Nessuno diventa campione seduto sul divano di casa”. Accanto ho trovato anche una collanina. Mi disse: “Portatela sempre con te, così ti ricordi di me nei momenti difficili”».

Se l’è portata a Malaga?
«No, l’ho dovuta cambiare. Si era un po’ annerita, ma lo porto sempre nel cuore».

Chi è Lucia Bronzetti fuori dal campo?
«Mi ritengo una persona semplice con dei valori importanti. Una ragazza normale anche se vivo in un mondo che non è così tanto normale. C’è molta ricchezza, ma non mi ha cambiata. Vengo da una famiglia cattolica, mia nonna e i miei genitori mi hanno trasmesso la fede».

Che cosa fa nel tempo libero?
«A ottobre mi sono iscritta all’università online, alla facoltà di Scienze motorie, per tenere anche la mente allenata. Mi piace leggere e guardare serie tv, anche durante i momenti di pausa nei tornei».

Quanto è importante Sara Errani per lei?
«È stata una delle poche persone che mi ha supportato nel momento di difficoltà che ho vissuto due anni fa, quando facevo tanti primi turni. Mi consigliò di affidarmi al lavoro, rassicurandomi che i “momenti no” li vivono tutti. Non mi ha fatto sentire sbagliata».

Errani è stata decisiva anche per l’exploit di Paolini.
«Jasmine per noi è una grande ispirazione. Ci ha spinto a puntare sempre più in alto».

Il tennis italiano quest’anno ha fatto strike: abbiamo anche il numero uno della classifica Atp, e gli azzurri hanno bissato la vittoria della Davis.
«Merito anche dei grandi team che ci sono. Sinner poi è un mostro. È il più forte di tutti ed è una persona squisita anche fuori dal campo. Così come lo vedete».

Vi sentite un po’ oscurate dai maschi? L’attenzione sembra rivolta sempre più dalla loro parte.
«Che ci sia più interesse verso di loro è vero. Sarebbe bello se ce ne fosse altrettanto per noi. Però da parte dei dirigenti della Fitp non è così. Hanno detto che la nostra impresa, per certi versi, è stata più grande».

Ci sarete anche voi dal presidente Mattarella?
«Sì, dovremmo andare il 29 gennaio, mentre il 16 dicembre saremo dalla presidente Meloni».

Il suo prossimo sogno?
«Essere felice e raggiungere tanti risultati che mi possano rendere orgogliosa. Non mi piace darmi dei limiti».