Agorà

Novecento. La storia di un giovane brigatista afferrato dalla mano di Dio

Angelo Picariello sabato 30 settembre 2023

Scontri a Torino nel 1977

Pubblichiamo parte della prefazione di Angelo Picariello al volume di Valter di Cera L'infiltrato di Dio - Dalle Brigate Rosse alla conversione. La storia di uno straordinario viaggio di fede (Tau Editrice).

Valter Di Cera rappresenta un incrocio fra un uomo e un film che ha cambiato la storia italiana. Un preciso copione scritto da qualcuno, probabilmente con la Q maiuscola, non avendo mai rivestito, Valter, incarichi di notorietà né da giovane apprendista della lotta armata, né poi di visibilità sul versante opposto - da collaboratore, a lungo celato, della Sezione speciale anticrimine dei Carabinieri... Dopo la disfatta delle Brigate rosse, il suo apporto evolve negli Organismi della Presidenza del Consiglio dei ministri per contribuire all’opera di prevenzione del rischio di recrudescenza del fenomeno eversivo interno.

Ero rimasto colpito dalla sua deposizione all’ultima commissione Moro presieduta da Beppe Fioroni in cui spiegava le ragioni, in realtà difficilissime da spiegare, per cui al “battesimo del fuoco” che sarebbe dovuto avvenire per lui a Roma in via Metronia, il 24 settembre 1979, non aveva obbedito all’ordine di Prospero Gallinari di uccidere, evitando di sparare a dei poliziotti. A seguito di questa mancata “copertura” Gallinari venne arrestato… Una scena molto precedente lo aveva visto impegnato, a 14-15 anni nel raggio della nascente Comunione e liberazione a partecipare alla “caritativa” per dare una mano ai baraccati, a cantare le canzoni di Claudio Chieffo che meglio di ogni altra cosa descrivono l’ansia esistenziale di quel tempo. Ebbene, alla commissione Moro lui spiegò quel suo sottrarsi all’obbligo del brigatista come una sorta di “ritorno di fiamma” di quella sua militanza cattolica, ereditata dalla famiglia, in particolare dal papà, impegnato nella sezione delle Acli di Don Bosco, poi passato, dopo la scissione, al Movimento cristiano lavoratori.

Il comportamento di Valter accese in alcuni dirigenti brigatisti il sospetto che egli potesse essere un “infiltrato” di cui sarebbe stato meglio liberarsi al più presto. Il film invece lo vede partire per una caserma del Friuli, il più lontano possibile da Roma, dove ormai la sua stessa vita era a rischio per i sospetti dei militanti clandestini. Addosso a Gallinari furono rinvenuti degli appunti dettagliati di una operazione che si stava organizzando al super-carcere dell’Asinara in cui erano detenuti i vertici delle Brigate rosse. Quel progetto di evasione di massa, con la carneficina che prevedeva di agenti in servizio, a seguito dell’arresto del suo ideatore non verrà più portato a compimento, e alcuni brigatisti detenuti negli anni successivi, trasferiti al carcere di Nuoro iniziarono pian piano un percorso di recupero e poi anche di riconciliazione con le vittime andato a buon fine. Per Valter invece iniziò un percorso di collaborazione con gli stessi carabinieri che erano andati ad arrestarlo in Friuli, che credettero nella sincerità di quel suo consegnarsi e mettersi a disposizione dello Stato.

Nacque così la Squadra acchiappi, che condusse nel corso degli anni Ottanta fino agli anni Novanta a una serie di imponenti operazioni antiterrorismo che portarono di fatto a sgominare del tutto il progetto eversivo delle Brigate rosse… Interessante ciò che scrive il giudice antiterrorismo milanese Armando Spataro nel suo libro Ne valeva la pena (uscito per Laterza nel 2011). «Alcuni collaboratori erano disposti a girare nelle auto-civetta, opportunamente resi irriconoscibili, per guidarli nei quartieri e presso i luoghi normalmente usati per i loro incontri con i "compagni", nella speranza di incontrare qualcuno ancora latitante. Ci sembrava un’idea un po’ balzana, ma non vi era ragione per opporsi. Bene, sembra incredibile, ma un buon numero di pericolosi latitanti cadde in quel modo... Qualcuno si scandalizza? Io assolutamente no - conclude Spataro -, specie se penso alle vite umane salvate e agli assassini catturati in quel modo»…

Il racconto di L’Infiltato di Dio, coincide, a livello fattuale, con quello del capo della Sezione, l’allora capitano, poi divenuto colonnello al comando della Ssa, Domenico Di Petrillo nel libro Il lungo assedio. Quest’ultimo attribuisce il merito degli “acchiappi” al metodo dei “rami verdi”, ereditato dal generale Carlo Alberto Dalla Chiesa. Il racconto di Valter Di Cera, invece, ricostruisce tutto all’interno di un disegno provvidenziale di cui lui è stato consapevole strumento. Va segnalato il ruolo fondamentale che ebbe il movimento dei Focolari, attraverso Graziella De Luca. Furono loro, insieme ai Missionari Oblati e a quei due grandi apostoli della riconciliazione che furono padre Adolfo Bachelet e suor Teresilla Barillà ad accompagnarlo, a incoraggiarlo in questo cammino, a pregare per lui.

Non solo. Questa Chiesa viva e coraggiosa si occupò anche di ospitarlo nei conventi quando ci fu bisogno di trovare un luogo nascosto e protetto per consentirgli di continuare la sua meritoria opera. Tanti clamorosi arresti poterono avvenire senza bisogno di usare le armi del nemico: né violenza, né tortura e pochissimo spargimento di sangue. L’ultima scena del film ritrae Valter a Roma, all’inizio del 1988 nei pressi della basilica di Santa Maria Maggiore, che riconosce un pericoloso latitante, forse il più pericoloso e sanguinario in quel momento, Antonino Fosso detto il Cobra. La sorte di Valter sembrava segnata essendo Fosso armato e intento a impugnare l’arma per fare fuoco contro di lui, ma anche qui Qualcuno con la Q maiuscola sembra averci messo la mano. Una regia insondabile volle che, all’indomani mattina, “il Cobra” fosse riconosciuto dal colonnello Di Petrillo e dal maggiore Cataldi, fermo alla fermata di un bus. Un’operazione brillantissima e coraggiosa, ma anche Di Petrillo, autore materiale dell’arresto ha ammesso, in una intervista che gli ho fatto per “Avvenire” che era stato decisivo l’allarme lanciato la sera prima da Di Cera, il che consentì di sventare un attentato all’allora segretario della Dc Ciriaco De Mita, senza riuscire a impedire - il suo grande cruccio - che con una mossa vigliacca i brigatisti di lì a qualche mese ripiegassero su Roberto Ruffilli, l’uomo-riforme di De Mita, ucciso nella sua casa a Forlì nell’aprile del 1988.

Anni di piombo: estremismo e devastazioni a Bologna nel 1977 / Nadalini