Agorà

INTERVISTA. Branduardi: «Bisogna essere liberi per fare musica di qualità»

Andrea Pedrinelli lunedì 27 luglio 2009
Ci si perde, alzando il tiro delle proposte? Nel caso di Angelo Branduardi non si direbbe: se si considera che al cospetto del successo mondiale di Alla fiera dell’Est, album nobile ma pur sempre pop, non sfigurano i risultati delle sue più recenti, evolute, avventure. L’infinitamente piccolo, lauda teatrale su san Francesco, ha registrato infatti 350 repliche (sinora); e Futuro Antico, riletture filologiche di musica colta dei secoli scorsi, è approdato al sesto volume. Insomma, Branduardi tenendo fede alla propria autodefinizione («Sono un uomo che cerca, nella vita e nell’arte»), continua a spiazzare restando popolarissimo. E diciamolo pure: chi l’avrebbe mai detto, quando l’artista presentò il disco sul Santo di Assisi? «Non i discografici», chiosa lui. «Loro mi risero in faccia. Per poi comunicarmi entusiasti che pur senza riscontri mediatici il disco vendeva…».Quando ha sentito limitante fare musica pop?«Pur sottolineando che "pop" significa "popolare" e che la forma canzone è cultura, io non volevo fare pop. Fu un produttore a dirmi "Ma perché non canti?". Sarà stato l’aspetto particolare, non so. Proposi Confessioni di un malandrino ma non sapevano come collocarla sul cosiddetto mercato; poi presi più coraggio e scrissi Alla fiera dell’Est. Ci misi nove mesi a trovare qualcuno che pubblicasse quel disco, mancavano parole d’ordine ideologiche, non "funzionavano" testi di ispirazione spiritual-religiosa… Però quando Trossat lo pubblicò, in otto mesi era nel mondo. Ma forse molto è stato incidente di percorso: infatti ora sono tornato alle origini».A partire da «L’infinitamente piccolo»?«La svolta è stata quella, sì. Dopo cd esibizionisti come Pane e rose, delirio di onnipotenza nell’elettronica. Ma già nell’85, cantando Yeats, davo sfogo alle stesse esigenze che mi hanno portato a san Francesco e Futuro Antico. E lo testimonia proprio il live Senza spina appena uscito, concerti acustici dell’epoca: mi guardavano come un matto…»Ma certi suoi dischi come questi, che senso hanno per lei ora? Le servono a tenere un piede nell’industria?«No: ho capito in fretta di essere di nicchia. Solo che di nicchie ne ho in tutto il mondo. Dunque posso fare quanto voglio, e nulla perché tengo famiglia».Anche all’estero l’ultimo Branduardi è accolto bene?«Sì, non c’è più grande differenza con l’Italia. Quando suonai la prima volta a Monaco, l’8 gennaio 1978, ricordo un silenzio pazzesco, per me che venivo da lattine sul palco e l’urlo "la musica è nostra". Oggi siamo cresciuti. Ho presentato Futuro Antico VI a Roma davanti a 8mila persone: la musica del Barocco richiede ascolto silenzioso, e così è stato. Forse se non si vendono dischi è solo perché fanno schifo. La gente la avverte, la qualità».Quindi la crisi non c’è, secondo lei?«C’è nella misura in cui la musica colta è divenuta una casta intoccabile: e l’ispirazione popolare in questi casi scema, mi insegnava un mio maestro, Diego Carpitella, noto etnomusicologo. E la musica "pop" di oggi infatti scimmiotta. La mia risposta? Proprio Futuro Antico: la musica è tanto importante per l’uomo che è decisivo saperne la storia portandola a tutti. Per capire sul serio chi siamo e chi saremo».Ma lei pensava che «Futuro Antico» funzionasse così?«No, il primo fu un divertimento. Solo che vendette dieci volte un cd di classica. Così si è creato un meccanismo virtuoso di commissioni di vari enti, che mi porterà al settimo volume e in Europa. Scrivere su commissione è un aiuto, se si sa quel che si fa. Ma bisogna essere umili per provare strade mai battute… Anche se io, è vero, lo faccio pure per provocare».Anche san Francesco provoca?«Sicuramente c’è chi nell’ambiente pop-rock non ha apprezzato. Ma a me interessa di più aver scoperto il bisogno dei giovani di conoscerlo. E portarlo a teatro con la Lauda ha fatto crescere anche il mio modo di pormi dal vivo: più sereno, meno aggressivo».Ed ora? Branduardi seguirà solo queste strade?«No, sto tenendo da conto anche spunti pop. Del resto, essendo uno che cerca, non so dove troverò…»