Teatro. Branciaroli: «Moby Dick è l'assoluto»
Franco Branciaroli è Achab
«Achab è il sogno di ogni attore. Ed è merito di Melville che ne ha fatto un personaggio dalla grandezza shakespeariana ». Franco Branciaroli, dopo Vittorio Gassman e Giorgio Albertazzi, affronta la prova del nove dei più grandi mattatori sfidando la balena bianca Moby Dick e il romanzo di Herman Melville a teatro, in occasione del bicentenario della nascita dell’autore americano. E lo affronta non solo come protagonista, ma curando anche la riduzione teatrale del testo nel Moby Dick con la regia di Luca Lazzareschi, che ha debuttato in prima assoluta al Teatro Romano di Verona dove sino al 27 luglio è in programma il Festival Shakespeariano all’interno della 71ma Estate Teatrale Veronese , la quale ha supportato la produzione del Teatro degli Incamminati. Al termine dell’applaudito debutto, Franco Branciaroli ci svela qual è il suo rapporto con Melville e il suo capolavoro.
Branciaroli, è una autentica sfida portare in scena in due ore la complessità di uno dei romanzi fondamentali della letteratura mondiale.
Secondo me è riuscita grazie alla riduzione di Valentina Violo, con cui ho collaborato nella stesura, che è un’esperta di lingua americana ed ha curato una traduzione del romanzo che è molto bella. Achab è un personaggio scritto da Melville in modo da richiamare in maniera evidentissima molti giganti della drammaturgia shakespeariana. A partire da Macbeth, di cui addirittura ricalca le tre profezie, poi Re Lear e Prospero de La tempesta. In effetti le trasposizione sceniche non sono mai venute benissimo, perché Moby Dick usa un linguaggio prettamente letterario. Eppure, non è così impensabile portarlo a teatro. Cos’è una nave di legno di 40 metri con a bordo 20 persone che navigano insieme per tre anni se non un teatro e una compagnia teatrale?
Qual è il suo rapporto personale con il romanzo “Moby Dick”?
Negli anni del ’68 il capolavoro di Melville tornò di culto per la mia generazione. Lo lessi la prima volta a 21 anni e mi piacque moltissimo. Moby Dick è un romanzo che va letto non avendo niente da fare. Perché è chiaro che se tu hai un’altra attività, quando arrivi alle descrizioni ittiche ti fermi. Pagine che invece a me sono piaciute moltissimo, perché stavo studiando biologia a Torino. Poi lo rilessi ancora quando facevo il Faust a teatro con Carmelo Bene. Insieme si discuteva di quel capolavoro e mi piacque ancora di più. Ed ora eccomi a rileggerlo per la terza volta a 72 anni. È un romanzo meraviglioso , ma quando uscì fu un disastro. Povero Melville, non ha mai assaporato l’incredibile successo di questo capolavoro.
Si è fatto un’idea del perché?
Fu un fallimento totale perché il romanzo era sperimentale. Se l’avesse pubblicato in Europa non sarebbe stato un fallimento, dato che si era già più avanti. Negli Stati Uniti all’epoca di Melville la letteratura era ancora di tipo ottocentesco. Un romanzo strutturato in questo modo non poteva funzionare.
In cosa le sembra all’avanguardia Melville?
Faccio un esempio, quando Achab dice al primo ufficiale Starbuck: «Achab è sempre Achab e questo è un dato irremovibile. Ed io e te l’abbiamo già provato un milione di anni prima che l’oceano cominciasse a incresparsi». Uno rimane interdetto. E invece anticipa “l’eterno ritorno” di Nietzsche. Achab come personaggio è un nietzchiano spinto. Il romanzo è pieno zeppo di intuizioni cosi.
E la balena?
La balena è l’assoluto inafferrabile. «La balena è il mandante del mio odio» dice Achab, L’odio che lui prova è visto come motore del progresso umano. Forse, se l’uomo non avesse questo strano sentimento innato, il progresso umano non ci sarebbe pare dirci Melville.
Secondo lei, che lettura si può fare oggi di “Moby Dick”?
Mi colpisce ancora di più la ribellione di Achab, un uomo che non c’entra nulla con gli uomini di oggi. Noi non siamo neanche più popoli, siamo solo massa. La ribellione dell’uomo di oggi non è fatta contro questo sistema perché lui ne ha un altro da proporre. La ribellione è fatta perché non si riesce ad entrare in questo sistema. Questa è la tragedia di oggi.
Un uomo che sfida anche la morte, tema oggi che è tabù…
Achab lo sa perfettamente che muore, ma vuole morire uccidendo la balena. Il romanzo ha un enorme valore simbolico. Nel finale la morte di Achab sembra un sogno, non è neanche realistico: «lui se ne va con la balena» è un’immagine onirica. È un invito a leggere il romanzo come una grande storia mitica, non come storia realistica. Melville è come Omero, Achab è come Ulisse, è stato portato via dal mistero che voleva svelare.
Cosa ha aggiunto 'Moby Dick' nella sua personale ricerca del Mistero?
La balena potrebbe essere vista anche come il Dio della Bibbia, il Dio severo che ti ha condannato a mettere piede in questo pianeta senza capire perché. Il romanzo è totalmente basato sulla Bibbia: inizia con la famosa predica di padre Mapple che parla di Giona nella balena, i nomi sono tutti biblici, lo stesso narratore Ismaele è una sorta di Giona.
Cosa ama degli altri personaggi?
Questo equipaggio è l’America, la multirazzialità degi Stati Uniti. Ci sono tutte le etnie e tutti colori: neri, rossi, indiani, cannibali. A me fa enorme tenerezza Pip, il mozzo, un personaggio bellissimo. Un ragazzino di colore che ha perso la ragione dopo essere stato lasciato solo su una lancia in mezzo all’Oceano ed essere caduto in acqua per il terrore. Quando lo recuperano ha perso l’anima. «Pip non c’è più» continua a dire. È commovente. Insomma, la saggistica su questo romanzo è sterminata, ogni pagina vuol dir qualcosa. È simile all’ Ulisse di Joyce e come lui fa parte di quei sette o otto romanzi fondamentali per l’umanità. Tutti i grandi lettori amano Moby Dick .