Religione. Brambilla: «Oltre la teologia del laicato: siamo tutti cristiani testimoni»
Durante il Concilio il laico è stato il convitato di pietra per un profondo ripensamento della missione della chiesa nel mondo. “Accelerare l’ora dei laici”: questo è stato il Leitmotiv del postconcilio, tanto retoricamente proclamato, quanto praticamente poco esplorato.
La “teologia del laicato” del Novecento ha cercato di custodire lo “spazio del laico” all’interno dello schema della teologia dei due ordini (natura e soprannatura), rimanendone in qualche modo imbrigliata. Il lavoro di Marco Vergottini (Il cristiano testimone. Congedo dalla teologia del laicato; Edb, pagine 302, euro 25,00) disegna tale parabola per cavarne il “sugo della storia”. Dopo averla praticata per molto tempo, ne ha raccolto il guadagno.
Bisogna dichiarare esaurita la “teologia del laicato” proprio per ereditare lo “spazio del laico” nella missione della Chiesa. La questione del laico cristiano ha oscillato tra la rivendicazione di uno spazio nella Chiesa accanto ai chierici e ai religiosi e la concessione di un compito nel mondo che riconosca la sua “indole secolare”. Pare che il laico per trovare la sua specificità nella Chiesa debba traslocare nel mondo per “animarlo cristianamente” o, secondo l’altra formula, per «ordinare le cose del mondo secondo Dio». In tale slittamento consiste la questione del laico, ma la sua soluzione non sta nel déplacement del laico nel mondo.
Questo è il filo rosso nella ricostruzione di Vergottini lungo il secolo XX. I capitoli dispari formano come un trittico che aiuta a leggere il plesso laico-laicato-laicità con una freschezza che toglie la discussione dalle secche dei poteri e pone la questione del laico come asse per ripensare il rapporto Chiesa-mondo, e più ancora radicalmente la relazione cristologia-antropologia.
L’avventura della ricerca parte mettendo in discussione la polisemia del rapporto laico-laicità-laicato nella storia, dichiarando sia l’indeterminatezza della cifra linguistica ( laikós, idiótes, laicus, plebeius, rispettivamente in greco e latino), sia la diversità del referente storico. Mette in guardia da ogni intelligenza teologica solo a partire dall’analisi dei campi linguistici. Per non parlare dell’utilizzo moderno e odierno della semantica laico-laicità, tra cui emerge l’uso francofono di laïcité, che significa neutralità pubblica nei confronti della religione e marginalizzazione della religione nello spazio privato.
Merita una sosta nel terzo capitolo sul pensiero di alcune personalità (G.B. Montini - J. Guitton). Si tratta di due figure che promuovono lo “spazio del laico” oltre la sua univoca codificazione teologica. Si legge con vero diletto questa parte che mostra come la teologia del laicato non può non considerare la mutazione storica della presenza civile del laico.
Il percorso si concentra, infine, sull’episodio più rilevante del postconcilio, che porta alla riapertura del dossier sui laici intorno al Sinodo dell’87 ( Christifideles Laici). Qui la discussione entra nel conflitto delle interpretazioni: a) la “secolarità” come indole peculiare dei laici; b) la “teologia dei ministeri” nel quadro del binomio comunità-ministeri; c) la “laicità” come dimensione caratteristica di tutto il popolo di Dio; d) il superamento della figura del “laico” in quella del “cristiano”. È un dibattito tutto italiano sulla cui scena sfilano i protagonisti del Novecento (Lazzati, Forte, Dianich, Canobbio, la “scuola di Milano”). È stato il momento più alto del postconcilio nella discussione ecclesiologica sul laico.
I capitoli pari del racconto presentano una disamina della “teologia del laicato” nel maggiore dei suoi rappresentanti ( Y. Congar) e nel momento epocale del Vaticano II. Vergottini qui non fa solo un’opera di compilazione, ma esercita la sua maestria proponendo una vera decostruzione del lavoro pionieristico di Congar e una ricostruzione della teologia conciliare. Senza la pretesa di appiattirla in una visione omogenea. Il “prendere congedo” dalla teologia sui laici comporta «la ricomprensione in una prospettiva più originaria della loro identità cristiana e della condizione in cui versano». La proposta finale è secca: non bisogna parlare del cristiano laico, ma del cristiano testimone.
Che ci si guadagna? Vergottini innesta il principio “distintivo” del concetto di laico (l’indole secolare) nella struttura “unificante” del cristiano (l’essere testimone). La “definizione tipologica” conciliare del laico faticava a coordinare la necessità del suo rapporto al mondo (suo carattere secolare) e del suo riferimento a Cristo (da ordinare secondo Dio). Andando al di là di una definizione essenziale o di un compito funzionale del laico, l’essere testimoni è la modalità “spirituale” con cui Cristo è donato al mondo e il mondo entra in comunione con Cristo. Ciò accade in una pluralità di figure cristiane, di cui la categoria di laico ha finora difeso lo spazio, ma non ne ha esaltata la missione.
Tale definizione ha sospinto il laico in un luogo separato dalle altre figure cristiane, senza mostrare che anch’esse (chierici e religiosi) erano connotate dalla stessa dinamica della testimonianza. Liberata da questa strettoia, la testimonianza del laico si potrà attuare in una pluralità infinita di figure, così ricche per il contributo dell’immersione del credente nella storia del mondo, ma anche così diverse per la genialità dello Spirito nel ricondurre questa storia a Cristo.
Alla fine resta la domanda cruciale: la riflessione sul laico può ereditare la teologia del laicato mettendo al centro la questione del cristiano testimone? Forse è necessario abbozzare il profilo del cristiano sotto l’aspetto teologico-pratico. Solo il cimento pratico del cristiano nella storia e la configurazione a Cristo delle vicende umane nella vita di ogni battezzato possono diventare il luogo di uno scambio simbolico che accade nella carne viva della testimonianza del cristiano. La vita della Chiesa è a servizio di tale “meraviglioso scambio” che brilla nella testimonianza del credente. Del cristiano testimone!