Epistolari. Joë Bousquet, la ferita che incide il cuore
Joë Bousquet ritratto da Jean Camberoque, 1943
Intrigante creatura Germaine Mühlethaler, che a poco più di 20 anni incontra il poeta francese Joë Bousquet, rimasto paralizzato durante la Grande Guerra, e se ne innamora desiderando di andare a vivere con lui, ma tredici anni dopo sposa Ferdinando Tartaglia, ex prete italiano scomunicato dalla Chiesa cattolica, per poi lasciarlo per trasferirsi a Parigi. A lei è dedicata una delle più belle raccolte di lettere d’amore mai uscite, che Bousquet le scrive durante i dodici anni della loro frequentazione, dal 1937 al 1949. I due si erano conosciuti alla festa di compleanno di Germaine, l’8 luglio del 1937, a Carcassonne, dove per i suoi 21 anni si erano radunati in tanti e dove il poeta quarantenne era stato portato sulle braccia dagli amici. Incontro folgorante fra due anime inquiete e protese verso l’Assoluto. Da allora Bousquet dà inizio a un carteggio che viene pubblicato nella sua integralità col titolo Lettere a Poisson d’Or (Moretti&Vitali, pagine 176, euro 20) per la cura di Adriano Marchetti. Così egli spesso infatti cita la giovane rievocando l’immagine di una fata bionda vista a 5 anni con le sembianze di un Golden Fish. Bousquet era già un poeta famoso, amico di Paul Eluard, e spesso accoglieva i conoscenti nella sua casa di Carcassonne, anche a tarda notte, e li intratteneva in conversazioni che spaziavano dalla poesia alla filosofia, dalla teologia alla mistica. Fermo nel suo letto, colpito da dolori spesso insopportabili, non rinunciò mai a cercare di vivere sino in fondo la sua vita. Era stato colpito da un proiettile tedesco il 27 maggio 1918 e la sua colonna vertebrale era stata lesa in maniera irrimediabile, restando immobilizzato dal bacino in giù. La sua stanza al numero 53 di rue Verdun divenne una sorta di cenacolo d’artisti e intellettuali e durante gli anni di Vichy accolse più volte partigiani ed ebrei in fuga verso la zona libera del Midi. Qui sostarono fra gli altri Simone Weil, Julien Benda, Jean Paulhan, Paul Valéry e André Gide. Per lui così piagato dalla vita la visione della ragazza è una sorta di apparizione. «L’equivalente di un’ascesi», annota Marchetti, che nell’introduzione spiega come Germaine, « beata beatrix, lo guida alle sorgenti di un dire che occorre rendere udibile nella forma delle parole». Comincia a scriverle quasi subito, il 1° agosto 1937, inaugurando quello che all’inizio pare uno scambio d’amicizia intellettuale. «Mi avete insegnato durante il vostro soggiorno molte cose. Sforzandomi di vedere le cose come le avete viste voi, è il vostro gusto che riesco a capire e tutta la mia disposizione poetica se ne ritrova rigenerata. Vorrei restituirvi un po’ della luce che avete acceso nel mio crepuscolo ». Lui in queste prime missive la chiama “amica mia” o “bambina”. I due parlano di filosofia e di verità, di miti religiosi e soprattutto della forza della poesia capace di impossessarsi del segreto della vita. A poco a poco l’amicizia si trasforma in passione amorosa: «Se fossi un uomo giovane, Germaine, vi direi che, appena vi ho vista, vi ho amata. Era molto più profondo, molto più bello di tutto ciò; sia la mia ferita che l’età volevano che quell’istante, per me unico, dominasse attraverso di voi tutta la vita reale». Così le scrive già l’8 agosto di quell’anno. E poco più di una settimana dopo mentre lei si trovava in vacanza in Inconosce ghilterra, parla già della «profondità spirituale del nostro amore». Un amore vissuto come unione di anime: «Il vostro corpo non è tra noi per separarci, né per far naufragare il nostro amore nella pantomima comune di un contatto sessuale. (…) È fatto per illuminare, nella Via lattea di incantesimi, il candore prodigioso di un desiderio appassionato d’eternità». Poi le parla della sua affinità verso le scuole rivoluzionarie del cubismo e del surrealismo, che dice di amare alla stessa maniera. E del ruolo ineffabile della poesia, che «è più profonda della vita, ha nel cuore il nostro essere, ri- la sua più alta espressione d’esistenza in ciò che si ama e, così inteso, si fa, necessariamente, diventando amore del proprio essere». Leggendo queste lettere si entra a poco a poco nei segreti di una vicenda amorosa inesprimibile, l’unione di due anime che respirano insieme. Nonostante egli sia ben cosciente dello suo stato: «Cara Germaine, una ferita come la mia ha distrutto in me le fonti stesse della vita. Per una conseguenza, in certe circostanze, felice, essa ha sprofondato in un blocco di ghiaccio tutto ciò che in me non era spirito, e ho spesso trascinato la mia carne come una palla al piede». Quanto accaduto vent’anni prima torna sovente nelle sue riflessioni ed è la ragione per cui lui non accetterà mai che la giovane si trasferisca nella sua casa. Come rileva ancora Marchetti: « Malgrado le speranze di una vita in comune che Germaine continua a nutrire per tutta la durata della corrispondenza, la lontananza è per Bousquet la condizione costitutiva dell’amore». Un amore che diventa unione mistica, donazione pura, solitudine come via di perfezionamento. «È troppo – si chiede il poeta – pretendere di assegnare alla mia ferita il carattere singolare che un sacramento conferisce a certi uomini?». Lui le suggerisce autori e libri da leggere, da Baudelaire a Huysmans al filosofo Alain, fino a Kierkegaard e Bloy, un «cattolico ardente, implacabile, nemico dei devoti». Talora, con discrezione, nelle lettere si affaccia la parola “Dio”: « Il problema per me – si legge in un’altra missiva – si pone su un altro piano: il monaco che pronunzia dei voti è meno radicato di me nella sua determinazione, meno impegnato dalla sua fede in Dio di quanto lo sono io dalla fede nella vita». E ancora: «Una frase ti chiarirà la mia situazione morale: amo la vita che mi è stata tolta». Germaine in quegli anni dirige a Marsiglia la filiale dell’organizzazione protestante Ymca ed è impegnata nella Resistenza. Un po’ come Simone Weil, che nel marzo 1942 si reca a trovare Bousquet che aveva curato per la rivista “Cahiers du Sud” un numero dedicato alla civiltà occitana al quale la filosofa aveva collaborato. Simone gli presenta un suo progetto, la creazione di un corpo femminile di infermiere volontarie che stessero accanto ai soldati durante le battaglie, progetto che De Gaulle giudicherà una follia. In quella notte in cui si conobbero i due ebbero una sorta di esperienza mistica e dopo cominciarono a scriversi (la Corrispondenza è stata pubblicata da Studio Editoriale nel 1994). Oltre al progetto della Weil, la ferita del poeta, la guerra in corso, il dolore dell’umanità e il silenzio di Dio sono i temi principali di queste lettere, che continueranno sino alla morte della pensatrice, parallelamente allo scambio con la Mühlethaler. Dopo la fine della guerra, Germaine in Italia incontrerà Tartaglia, divenuto con Aldo Capitini un apostolo della non violenza, e nell’aprile 1950 lo sposerà. «La tua decisione – le scrive Bousquet poco prima – mi libera da una tremenda incertezza. Occorreva la nostra separazione perché io comprendessi con quale intelligenza della mia situazione mi avevi amato. Ho condiviso il mio terribile fardello con te, non lo dimenticherò più». Nel settembre di quello stesso anno morirà.