Ecologia. Dominique Bourg: «Non siamo padroni del mondo»
Il filosofo francese Dominique Bourg
Parigi «Gli esseri umani hanno molto fantasticato sulla loro padronanza del mondo, ma ci rendiamo conto oggi di trovarci spesso in una certa posizione di passività rispetto a noi stessi e al mondo, anche se la modernità ci ha fatto credere il contrario». Dominique Bourg sostiene tesi scomode nel suo ultimo saggio Une nouvelle Terre, uscito in Francia per Desclée de Brouwer. Secondo il filosofo, docente all’Università di Losanna, ritrovare una fiamma spirituale potrà permettere all’umanità di approdare a nuovi equilibri ecologici. «Che lo si voglia o no, la Terra sta cambiando e sarà meno abitabile, ma torna con forza pure l’idea di limite, che è al centro di tutte le saggezze e spiritualità».
Lei scrive che «l’idea di padroneggiare il sistema terrestre non ha affatto senso». Ad alcuni può sembrare provocatorio, ad altri disfattista…
Con lo sviluppo della tecnica e la prima rivoluzione industriale, nessuno auspicava il cambiamento climatico o una simile distruzione del vivente attorno a noi, al punto che certi suoli ormai si fossilizzano. L’abbiamo prodotto senza volerlo. Siamo di fronte, anzi in mezzo a un sistema. In un sistema, il tutto influisce sulle parti. Il tutto può amplificare o controbilanciare l’espressione delle parti, secondo che vi sia un feedback positivo o negativo. Non vi è solo una causalità ascendente, cartesiana, ma anche discendente. Non sappiamo mai davvero come il sistema influenzerà le parti. Le stesse cause non producono necessariamente gli stessi effetti e le prossime cause possono provocare lontani effetti a noi ignoti. Ecco perché parlare di padroneggiare il sistema terrestre è assurdo.
Un esempio?
Certi economisti del gruppo 3 dell’Ipcc, il pool d’esperti Onu sul clima, chiedono di produrre elettricità dalla biomassa, permettendo di catturare carbonio alla fonte. Ma in questo scenario, occorrerebbero superfici gigantesche per foreste o piantagioni a crescita rapida, con effetti sulla biodiversità già in crisi, accanto a un problema di concorrenza con i suoli impiegati per produrre cibo, in un mondo in cui la produzione alimentare è già a rischio. Ciò mostra che quanto padroneggiamo non è molto, perché il sistema retroagisce.
Ma la diplomazia climatica persegue una certa forma di controllo…
Ciò che possiamo davvero padroneggiare sono le nostre emissioni, ma è una forma di autocontrollo, non una padronanza del sistema terrestre. Con queste scelte, potremo ridurre gli effetti del cambiamento climatico, ma senza annullarlo. La potenza delle nostre tecniche ha effetti locali, mentre a livello sistemico resta relativa, perché presa in un gioco superiore.
Secondo un dilemma divulgato da Karl Popper, tutte le nuvole sono forse orologi, deterministicamente, oppure tutti gli orologi sono forse nuvole, all’insegna di un’indeterminazione. Per lei, dunque, l’agire umano non ha effetti determinabili…
Il problema è che, dal nostro punto di vista, il determinismo è parziale. Forse ci sono effetti determinati, ma non li conosciamo. Tradizionalmente, il nostro determinismo è stato sempre semplicistico: una causa e il suo effetto immediato. Ma in un sistema, l’effetto è a sua volta la causa di un altro effetto e così via. Non riusciamo ad anticipare e inoltre certi effetti a lungo termine possono contraddire l’effetto ricercato. Dobbiamo riconoscere che la nostra conoscenza del determinismo è estremamente semplice e incompleta.
Certi teorici dell’intelligenza artificiale, prevedendo crescite esponenziali delle capacità di calcolo, pensano il contrario… Negli ecosistemi, i superamenti di soglie critiche non sono apparentemente conoscibili in anticipo. I nostri calcoli e conoscenze restano parziali e possono provare a prevedere l’evoluzione di sistemi continui, ma una volta al di là, rischiamo sempre sorprese. Ipotizzare capacità future di calcolo in perpetua crescita non significa poter risolvere così dei problemi che sono già oggi incombenti. Occorre invece affidarsi all’idea dei limiti planetari, dato che questi sono determinabili. Potremo così cercare di contenere i flussi di materia e d’energia, in modo da mantenere il sistema in uno stato più o meno favorevole, anche se c’è chi pensa che sia già un po’ tardi.
C’è chi caldeggia un “catastrofismo illuminato”, ovvero restare consapevoli che il peggio può accadere. Che ne pensa? Non credo in un collasso del sistema ecologico, ma non sono impossibili rotture improvvise su scala più limitata. È tardi per evitare un degrado dell’abitabilità terrestre, ma non è troppo tardi per limitarlo. Certo, osservando certi politici opposti alla causa ambientale, come Donald Trump o Jair Bolsonaro, si può temere che esauriremo lo scarso tempo utile residuo, senza svolte significative. Ma spero in un sussulto democratico, soprattutto osservando tante resistenze positive, accanto all’emergere di una certa spiritualità. Una spiritualità nutrita anche da una crescente consapevolezza dell’unità del mondo vivente. Si pensi oggi all’attenzione per il mondo animale e alle scoperte fantastiche della biologia sulla comunicazione fra le piante. In molte società, sta cambiando il sentimento verso la natura, si cerca una nuova armonia, c’è un appetito di connessione con ciò che è naturale, come in un umanesimo allargato. Fra i miei studenti, abbracciare un albero non è più un gesto bislacco.
Soprattutto per quelli che hanno aderito ai “Venerdì per il futuro”… Sono giovani molto informati, con cui discuto. Hanno capito benissimo che il mondo sarà più difficile, dunque si ribellano e hanno ragione di farlo. A partire dall’estate 2018, è accaduto qualcosa di fondamentale, nell’emisfero boreale. Le persone hanno potuto mettere in relazione gli allarmi scientifici con le esperienze dei propri sensi: siccità, afa, incendi. Fin da settembre, le manifestazioni per il clima si sono amplificate in modo inedito. Oggi, il sapere scientifico è connesso ai sensi e ciò produce una coscienza che crescerà.
Quattro anni dopo la sua pubblicazione, cosa pensa dell’enciclica Laudato si’?
È un testo magnifico, molto profondo, potente e preciso. È un’enciclica che ha trovato un bell’equilibrio nella riscoperta di tutta una tradizione del cristianesimo, a partire già da tre importanti passaggi della Genesi. Mi pare che nel mondo cattolico si cominci ad apprezzarne gli effetti, in termini di un’accresciuta sensibilità sulle questioni ecologiche. In Francia, ciò è molto visibile. Qualcosa si sta muovendo.