Architettura. Borromini e il triangolo sacro
Francesco Borromini: il cortile retrostante alla chiesa di Sant’Ivo alla Sapienza
Nella sua casa in vicolo dell’Agnello, a Roma, Borromini aveva una biblioteca di un migliaio di volumi: moltissimi per l’epoca. Quella di Carlo Maderno, con cui collaborò nei suoi primi anni romani, aveva dimensioni più simili all’uso dell’epoca e ne contava una ventina. Borromini era nato a Bissone, nel Canton Ticino, nel 1599 e cominciò a lavorare, giovanissimo, nel cantiere del duomo di Milano. Fu scalpellino e disegnatore mentre «verso l’architettura lo guidavano la tradizione familiare e una vocazione innata e travolgente» come scrive Paolo Portoghesi in Francesco Borromini. La vita e le opere (Skira, pagine 632, euro 90,00) da cui anticipiamo alcuni brani della nuova introduzione. (L.Ser.)
Sono stato tra i primi a fare, a proposito del Borromini, il nome di Galileo, delle cui tragiche vicende l’architetto non poteva non essere informato. Penso che alcuni dei suoi libri fossero nella biblioteca borrominiana; non mi convince però la tesi di un’influenza diretta sul modo di pensare di Borromini, come non mi convince l’ipotesi di una sua conoscenza delle contemporanee conquiste della scienza e del pensiero seicentesco. La cultura dell’architetto è ancora profondamente radicata nella tradizione del neoplatonismo, e nella cultura dei due secoli precedenti. Un autore che a mio parere non poteva mancare nella sua biblioteca era Nicola Cusano con De Docta Ignorantia e Le congetture, dove è esposta con chiarezza la teoria della coincidentia oppositorum. Le ipotesi valgono quel che valgono, ma l’oscillazione tra gli opposti è una delle più fruttuose chiavi interpretative che si possano adoperare per comprendere la personalità e l’architettura di Borromini, e nell’adoperare questa chiave è Borromini stesso ad aiutarci attraverso le sue parole, le sue opere e le vicende della sua vita. È nota la predilezione borrominiana per i numeri irrazionali che esprimono il rapporto tra la circonferenza e il suo diametro, tra il lato e la diagonale del quadrato, tra il lato minore e la diagonale di un rettangolo che abbia tra i lati un rapporto di 1:2.
L’uso sistematico del triangolo equilatero nella chiesa di San Carlino è un indizio dell’interesse per i numeri irrazionali, che deriva dal sistema gotico di proporzionamento utilizzato nel duomo di Milano. L’uso della geometria e, in modo particolare, delle costruzioni eseguibili con il compasso, dimostra attenzione per una logica che va al di là della razionalità e si orienta verso «quelle cose arcane» di cui parla Cusano. Nella filosofia cusaniana, oltre alla coincidentia oppositorum, è possibile individuare altri elementi che possono aver coinvolto in profondità il pensiero di Borromini. Anzitutto la distinzione tra ragione e intelletto, che consente a Cusano di collocare i numeri irrazionali in una sfera privilegiata che la ragione rifiuta ma l’intelletto è in grado di comprendere. «È così grande – scrive Cusano nelle Congetture (I, 52 e ss.) – la forza della natura intellettuale semplice, che essa abbraccia quelle cose che la ragione disgiunge come opposte. La ragione, la quale non coglie alcun numero che non abbia pro- porzione, e ammette il massimo in atto, congettura di poter procedere dal noto all’ignoto. L’intelletto, invece, avvertendo la debolezza della ragione, rifiuta queste sue congetture e afferma, sia i numeri proporzionali, sia quelli non proporzionali, cosicché la precisione di tutte le cose e di ciascuna singolarmente risulta nascosta, ed è Dio benedetto.
La ragione è la precisione del senso; la ragione unisce nella sua precisione i numeri del senso e misura le realtà sensibili con una precisione razionale. Ma questa non è una misura vera in senso assoluto, bensì vera in senso razionale. La precisione delle cose razionali è l’intelletto, il quale è misura vera. Ma la precisione somma dell’intelletto è la verità stessa. che è Dio». Poiché nel divino, secondo Cusano, bisogna abbracciare i contraddittori in «un atto di pensiero semplice », cioè con l’intelletto e non con la ragione, solo l’intelletto è in grado di riconoscere l’unità nella trinità e viceversa, e la geometria consente di seguire il tragitto della comprensione intellettuale. «Codeste affermazioni risultano chiare nel nostro esempio, ove la linea semplicissima è triangolo, e viceversa il semplice triangolo è unità della linea. E qui si vede anche che non è possibile contare gli angoli del triangolo con i numeri uno, due e tre, perché ogni angolo è in ciascuno degli altri, come il figlio dice: “Io sono nel padre” e “il padre è in me”» (La Dotta Ignoranza, I, 58). Riflettendo sulla pervasività del triangolo nelle chiese borrominiane progettate in piena libertà come San Carlino e Sant’Ivo, sia come immagine percepibile dai sensi, sia come matrice occulta, è facile valutare quanto il ragionamento del Cusano sarebbe apparso illuminante a Borromini. Un altro aspetto della concezione geometrica dell’organismo avrebbe egualmente trovato nel De Docta Ignorantia una spiegazione congeniale: quello della omologia tra i due diversi tipi di curvatura nelle coppie di absidi del San Carlino. Per Cusano infatti «l’infinita curvità è l’infinita rettitudine » e a mano a mano che il raggio di una circonferenza si restringe «perde di curvità» fino a diventare una retta. «Si vede che la linea massima e infinita è rettissima, e ad essa non si oppone la curvità; anzi la curvità della linea massima è la stessa sua rettitudine » (La Dotta Ignoranza, I, 35), che è come dire che tra curvità e rettitudine è in atto un continuo stato di metamorfosi.
La metamorfosi che in San Carlino avviene di fronte agli occhi attoniti dell’osservatore, quando sposta la sua attenzione dall’asse di penetrazione a quello trasversale. In una lettera indirizzata al Rasponi, autore della monografia sul restauro di San Giovanni, Virgilio Spada scrive: «Si manda una scrittura del Cav. Borromino in risposta à certi miei quesiti, dove spiega il modo, che si propose nell’edificio di questo tempio; poiché sì come la melodia delle voci nasce da numeri, così la bellezza delle fabbriche, professa nascere parim. te da numeri, e che tutte le parti habbiano una tale proportione, che un’apertura di compasso, sanza mai muoverlo, le misuri tutte»