Letteratura. L’attimo fuggente di Ginevra Bompiani
Ginevra Bompiani, nata a Milano nel 1939, è figlia dell’editore Valentino
Sul computer si può premere “mela zeta”. In questo modo si torna indietro, si può andare, in un certo senso, a ritroso nel tempo. Nei suoi ricordi autobiografici ora pubblicati da Nottetempo con il titolo Mela zeta (pp.123, euro 13,50) Ginevra Bompiani esplora il suo passato, cerca quegli incontri che nella tastiera della vita annunciavano un destino ormai compiuto. Ma diversamente da quello del computer, il tempo della vita è irreversibile. Il solo tasto grazie al quale si può almeno vedere quale fu la piccola origine della grande onda che dal passato arriva a oggi, è il tasto della memoria. Nei sedici capitoli del libro questa prima autodiagnosi viene compiuta dall’autrice ricordando fondamentali incontri, di fatto avvenuti eppure mancati. Molte cose nella vita succede che avvengano o comincino ad avvenire e poi non avvengono.
Il libro si apre con l’immagine di una “grande onda” che sommerge e devasta e di fronte al cui gigantesco avanzare si resta immobili: è troppo tardi ormai per fare qualunque cosa, vorresti solo non essere già lì dove sei nel corso della vita. Vorresti arretrare fino a quel punto del passato nel quale un “vuoto dentro” di distrazione o impazienza ti ha spinto oltre invece che fermarti. Ma ricordare il passato è difficile. Si ricordano più i fatti che le condizioni atmosferiche in cui avvennero. Non avendo scritto un’autobiografia, ma frammenti di autobiografia ognuno con il suo tono e stile, la prosa del libro per colmare i vuoti crea magnetismi lirici, spazi visionari esplicativi, ossessioni allegoriche come quella della “grande onda” del tempo che sommerge e devasta, o quella del tasto “mela zeta”. Il primo capitolo racconta un viaggio in furgone per portare viveri alle donne, profughe sopravvissute di Srebrenica, nella ex Yugoslavia durante la guerra civile. Al culmine del viaggio c’è l’apparizione di «una vecchia vestita con suprema, solitaria eleganza», l’incarnazione reale di un mito epico e tragico che nasce dal suo racconto in una lingua che per l’autrice è incomprensibile.
Dunque, alla fine del viaggio, quell’incontro mancato, che è il più realizzato e compiuto di tutti, nonostante l’inaccessibilità linguistica. Ed è qui che compare una delle frasi più forti del libro, l’autodefinizione di colei che sta compiendo questi viaggi a ritroso: «Mi aggiro stordita per le splendide vuote macerie». Nel secondo capitolo compare lo scrittore spagnolo José Bergamin, amico di Lorca, Picasso, Malraux: una presenza che ispira, quasi un maestro, sebbene in lui non ci fosse nulla del maestro: «Aveva mani sottili e bellissime, naso lungo, berretto basco, schiena un po’ curva, sguardo malinconico. Era cattolico e parlava sempre del diavolo... Ma Dio e diavolo erano spesso intercambiabili nella sua barocca metafisica». La sua cifra, il suo segreto era saper fondere «in un’essenza unica la comicità e la grazia». Compare poi la pittrice Titina Maselli (chiamata Lola): «Era potente ed era bella...Lei, che aveva affidato la sua vita alla pittura, rimpiangeva di non scrivere e voleva che glielo insegnassi». Il suo tardivo amore per un ragazzo fu una «deflagrazione (...) era rinata per morire meglio...perché l’emozione a un certo punto, è una malattia mortale». Gli scrittori Giorgio Manganelli e Anna Maria Ortese era impossibile incontrarli davvero. La loro arte di sottrarsi e di mancare agli incontri era virtuosistica, urticante, a volte offensiva. Elsa Morante, sempre esplicita, disse invece tutto in una frase: «Vuoi mettere la compagnia che ti fa un gatto con quella che ti fa un uomo? ».
Il filosofo Gilles Deleuze viene raccontato come un indimenticabile maestro di pensiero. Eppure di lui viene ricordata la voce, la calma atmosfera che creava intorno a sé, più che le sue parole e teorie. Dunque “il pensiero” (questo il titolo delle pagine su di lui) risulta una condizione della mente prima che un insieme di enunciati. A casa di Ingeborg Bachmann si potevano incontrare a cena “ospiti eccelsi” come Theodor Adorno e Gershom Scholem, ma la cosa che mancava era la cena: la tavola apparecchiata si trovava, invisibile, in un’ altra stanza e nessuno, neppure chi ospitava, aveva il coraggio di dare il segnale che si poteva accedere al pasto. Infine Sonia Orwell, nella cui casa di Londra si incontravano tutti, a cominciare da poeti, artisti e scrittori come Stephen Spender, Francis Bacon e Cyril Connolly.
Sonia aveva sposato l’autore della Fattoria degli animali tre mesi prima della sua morte e non c’era niente nel suo carattere imperiosamente frivolo che facesse pensare alla ruvida, umoristica semplicità, al populismo e alle angosce politiche dello scrittore. Anche quello di Sonia con Orwell doveva essere stato un incontro mancato. Ma lei era bella e giovane, una consolazione per un uomo come lui, precocemente malato e ormai disperato. Perché lo spreco di tutti questi incontri? «Forse perché lo spreco» conclude Ginevra Bompiani «è una costante della mia vita». Non solo della sua. Lo spreco nella vita è purtroppo quasi una regola. Non c’è sapiente o filosofo o maestro di vita che non abbia insistito su questo: la vita è il tuo presente, non fartelo sfuggire.