L'intervista. BOMBINO, il rock nel deserto
Lo chiamano il Jimi Hendrix del deserto, canta in lingua Tamashek la ribellione del popolo Tuareg ai diktat dell’integralismo islamico e suona rock-blues con uno stile unico che profuma di spezie. Bombino (vero nome Goumar Almoctarm) da quando è stato scoperto nel 2009 nella sua Agadez, in Niger, dove tuttora vive con moglie e figli, dal regista Ron Wyman che ne ha fatto il protagonista di un documentario producendo anche il suo primo album Agadez, è conteso dalle star di mezzo mondo. La sua chitarra ha portato una ventata calda di energia al Premio Tenco per la canzone d’autore che si concluderà stasera a Sanremo con una corposa serata omaggio ai 50 anni della scomparsa di Luigi Tenco (27gennaio 1967) con le interpretazioni di Ascanio Celestini, Naomi, Morgan e tanti altri. Inoltre il Tenco ha deciso opportunamente di dedicare la manifestazione del suo 40° anniversario al tema dei migranti. Il 36enne Bombino (storpiatura della parola bambino, soprannome affibbiatogli quando suonava con Haia Bebe) un migrante lo è stato davvero. Un esile pastore del Sahara che scopre a 9 anni la musica, grazie a una chitarra dimenticata dai parenti, e che studia la tecnica di Hendrix e Marc Knopfler durante i pascoli in Algeria e Libia dove era stato costretto a fuggire dalla guerra civile in Niger. Dopo il recente assassinio di due componenti della sua band, l’artista si era rifugiato anche in Burkina Faso, proprio nel momento in cui il suo lavoro Nomadnel 2013 scalava le classifiche. Bombino ci racconta la sua storia, gentile e sereno, dopo aver infiammato con la sua band l’Ariston.
In Italia e in Europa il tema dei migranti è diventato sempre più importante. Come vive Bombino tutto questo dalla sua esperienza personale? «È molto triste, sicuramente. Sono stato un rifugiato per ben due volte in vita mia, per cui conosco il dolore che si prova quando si vive questa condizione. Ti senti meno umano, ed è il peggior sentimento che abbia mai provato. E io posso dire di essere stato fortunato perché non ho avuto troppi problemi, in quanto sono scappato la prima volta in Algeria e la seconda in Burkina Faso, ma ci sono altre persone che scappano da situazioni terribili e vengono trattati invece come criminali perché chiedono solo di vivere in sicurezza, questo mi rende veramente triste».
Come l’ha segnata la guerra civile e quanto l’ha aiutata la musica? «Essere profugo nei primi anni della mia vita è stato molto doloroso e tanto difficile. Dicevo prima che mi considero fortunato perché ero con la mia famiglia, non ero solo, per cui ci facevamo coraggio l’uno con l’altro. Sicuramente il maggiore aiuto me lo ha dato la musica in quei momenti, la musica mi ha salvato. Ascoltare chitarristi come Jimi Hendrix e Mark Knopfler mi dava un senso di libertà durante quei momenti difficilissimi».
Come è la situazione ora in Niger dove incombono le minacce del Daesh? «Onestamente, se non leggessimo le news dell’Occidente, non sapremmo nemmeno che ci sono terroristi nel mio Paese. Per la gente del Niger non è la prima preoccupazione, abbiamo problemi molto concreti e seri nella nostra società. Il Niger è un paese poverissimo e i nostri problemi principali derivano dalla mancanza di acqua, dalla mancanza di sviluppo, dalla mancanza di risorse mediche, di istruzione e di infrastrutture ».
Lei ama vivere nel deserto da cui trae ispirazione, ma sempre più è in tour in Stati Uniti ed Europa. Quali sono le differenze di vita tra l’Occidente e l’Africa? «Sono stili di vita diversi sicuramente. In Europa è tutto molto più veloce, le persone sono sempre impegnatissime e vanno sempre di fretta. Dimenticano anche di salutarsi a volte… In Africa ciascuno si prende il proprio tempo, esiste una forma di solidarietà più estesa».
Quanto è importante oggi la musica per il dialogo tra le culture diverse? «La musica è molto importante, è cruciale perché è un modo di comunicare attraverso le emozioni. Non c’è modo migliore per capirsi gli uni gli altri, ne sono convinto. Penso che la gente inizi a conoscere e ad amare una cultura diversa prima di tutto attraverso la musica. La musica è la forza che unisce i popoli, è una verità universale».
Bombino, come ha scoperto il blues, il rock e Jimi Hendrix? «Ho scoperto Jimi Hendrix quando ero a casa di mio cugino a Tamanrasset in Algeria, c’erano delle cassette. Eravamo fuggiti perché era arrivata la guerra, così siamo andati dai parenti nel Sud dell’Algeria e insieme ai miei cugini ho sentito per la prima volta la chitarra di Jimi Hendrix e ho visto alcuni suoi video. Sono rimasto folgorato, da quel momento Jimi e la sua chitarra sono stati per me sinonimi di libertà».
Ci parli delle sue collaborazioni internazionali. Lei ha lavorato anche con Jovanotti. «Anni fa mi è capitato di suonare con i Rolling Stones, ma io non li conoscevo, perché ero appena arrivato dall’Africa. Con Lorenzo il contatto l’ha creato la mia agente, Magalì: inizialmente non mi sembrava di conoscerlo, mi sono ricordato poi, che in Niger tanti anni fa avevo visto la sua cassetta, quella dove c’era raffigurata una motocicletta, e mi aveva colpito perché amo le moto. Oltre a Lorenzo, stimo tantissimo Adriano Viterbini, un chitarrista straordinario con cui adoro suonare, l’ho fatto anche nel suo ultimo album».
Nuovi progetti? «Sto lavorando a una serie di progetti, ma adesso mi godo quest’ultima parte di tour e se Dio vorrà, non vedo l’ora di stare un po’ con la mia famiglia a casa».