Agorà

Lo scenario. Bomba e rifugio: è la città in Africa

Giorgio Ferretti venerdì 18 ottobre 2024

Veduta aerea di Matola, quartiere informale alla periferia della capitale del Mozambico Maputo

In Mozambico, paese dove sono stato sacerdote fidei donum dal 2016 al 2023, la città rappresenta l’approdo per molti giovani. Si fugge dalla povertà senza futuro delle campagne, aree rurali abbandonate e non coltivate nelle quali in alcuni casi ancora si muore di fame. I cambiamenti climatici rendono più difficile la coltivazione: a lunghi periodi di aridità fanno seguito cicloni con inondazioni devastanti, come il ciclone Idai che nel marzo del 2019 ha provocato morte e distruzione nel centro del Mozambico. La grande distanza dagli ospedali, dalle scuole e da altre strutture pubbliche costringe la vita rurale in una condizione di precarietà e isolamento. In Mozambico i giovani rappresentano una grande ricchezza: il 50% della popolazione ha meno di 18 anni. La diffusione della connessione internet mostra loro il mondo globalizzato del consumismo che nelle campagne diventa come un sogno che molti vorrebbero realizzare. Per questo si corre verso le città, emigrando internamente nel Paese prima che i più intraprendenti facciano il salto verso la grande Johannesburg nel vicino Sudafrica. La gran parte delle migrazioni africane avviene internamente al continente e non verso l’Europa. Oggi Maputo, capitale del Paese, assieme alla vicina città di Matola che una volta rappresentava il suo polo industriale, è un’unica area metropolitana di 3 milioni di abitanti. Attorno al centro storico costruito in stile portoghese, sono nati e continuano a crescere grandi quartieri informali ( bairros) fatti di baracche di lamiera ( chapa). Gli alloggi sono caldissimi d’estate e freddi in inverno, spesso sprovvisti di luce elettrica e acqua corrente. Tali insediamenti non regolamentati sono popolati di bambini che giocano in aree insalubri dove regnano malaria e colera. Il miraggio della grande città si rivela per molti una vita infernale. Numerosi giovani finiscono per vivere in strada, arrangiandosi nel cercare un lavoro, raccogliendo spazzatura o chiedendo l’elemosina. La disuguaglianza sociale cresce a dismisura con lo sviluppo di un’economia privatizzata e predatoria: sui marciapiedi giacciono i bambini di strada ma sulla via sfrecciano auto di grossa cilindrata. Maputo è una bella città edificata sulla costa dell’oceano Indiano che ha beneficiato di un grande sviluppo negli scorsi decenni, dovuto principalmente alla pace firmata a Roma nel 1992 grazie alla mediazione della Comunità di Sant’Egidio, dopo 17 anni di una guerra devastatrice. La pace ha portato sviluppo e un’intera generazione è cresciuta fuori dal conflitto, anche se nel nord da qualche anno il terrorismo jihadista provoca morte, terrore e ulteriori spostamenti di popolazione. Oggi si calcolano in più di un milione gli sfollati interni. La dimensione sociale esplosiva di una grande città, ormai sovrappopolata dentro uno Stato povero, ha ovvie conseguenze sulla vita della gente e sulla qualità della convivenza. Dallo smaltimento dei rifiuti all’erogazione dell’acqua, le difficoltà sono enormi. La grande discarica ( lixeira) di immondizia di Hulene nella capitale è divenuta un luogo di rifugio per molti poveri che ogni giorno cercano tra i rifiuti qualcosa da mangiare o da riciclare. Il paradosso è che plastica, cartone, ferro e altri materiali si possono rivendere: una sorta di “raccolta differenziata” fatta dai più disperati che in qualche modo contribuiscono alla salvaguardia dell’ambiente. Mi ha sempre colpito il fatto che mentre i ricchi sporcano la città, i più poveri la ripuliscono. Molte volte negli anni passati le grandi piogge hanno fatto franare le montagne di spazzatura, travolgendo le persone che dormivano nelle baracche sottostanti. Le suore di Madre Teresa di Calcutta hanno scelto di stabilirsi proprio in quei luoghi, dando asilo a malati e morenti. La Chiesa è presente da sempre al fianco dei più poveri, con scuole e aiuto umanitario. Un tempo gestiva anche ospedali. Oggi l’esempio più bello nella sanità cattolica è il programma Dream della Comunità di Sant’Egidio di cura all’Hiv-Aids e non solo. L’Aids ha un’incidenza ancora alta nella popolazione: circa il 14% di prevalenza, con picchi del 26% in alcune zone. Con una corretta aderenza alla terapia è stato possibile far nascere migliaia di bambini sani da madri sieropositive. Nel centro Dream, visitato nel settembre 2019 da papa Francesco, si curano anche molte altre patologie, come la tubercolosi e il cancro della mammella.

Tuttavia la Chiesa fatica a stare dietro alla proliferazione di nuovi quartieri e insediamenti informali che si sviluppano attorno a Maputo. Non vi è la possibilità di costruire altri edifici per il culto. Recentemente sono state istituite nuove parrocchie ma la sfida rimane grande. I rapporti con l’islam tradizionale sono buoni: i cattolici sono circa il 28% della popolazione, mentre i musulmani si assestano sul 19%. Anche gli imam faticano a seguire il fenomeno dell’espansione della città e temono l’infiltrazione di un islam radicalizzato.

Le sette proliferano. Provengono principalmente dal Brasile o dal Sudafrica e seguono lo schema delle prosperity churches, denominazioni basate sulla promessa di benessere e salute in cambio di preghiera e fedeltà, oltre che naturalmente di offerte al predicatore. La loro percentuale cresce ogni anno e sembrano essere una risposta palliativa alla disperazione della gente. Spesso le sette sostituiscono anche la medicina moderna. Ciò significa per la Chiesa l’esigenza di accogliere tali domande, che tra l’altro molti vivono in solitudine: anche nelle megalopoli del continente viene meno il collante collettivo della famiglia africana tradizionale. Sono stato per 7 anni parroco della Cattedrale che si trova nel centro della città e ha una popolazione di 80mila abitanti. Sicuramente il tesoro più grande che ho trovato sono stati i giovani, desiderosi di giustizia ed entusiasti nell’impegnarsi per i più bisognosi.

La Chiesa ha molto da dire in una megalopoli africana. Talvolta rischiamo di sentirci una minoranza in tali mondi caotici e senza riferimenti ma il Vangelo è una risposta sicura al bisogno di senso di tanti uomini e donne disorientati.