Agorà

FRONTIERE. Bolívar e i suoi fratelli

Alessandro Armato domenica 4 aprile 2010
Venezuela, Argentina, Messico, Colombia e Cile celebrano quest’anno il bicentenario dell’indipendenza dalla Spagna. Se è probabile che nelle commemorazioni ufficiali prendano il sopravvento la retorica e la partigianeria politica, in sede storica l’occasione è buona per lanciare nuove pubblicazioni e tentare un bilancio dei progressi fatti nella conoscenza di questa pagina fondamentale della storia occidentale, ancora viziata, nella memoria collettiva, da una serie di falsi miti. La maggior parte degli studiosi fissa l’inizio delle guerre d’indipendenza ispano-americane il 19 aprile del 1810, quando una ribellione scoppiata a Caracas, nell’allora Capitaneria generale del Venezuela, porta alla deposizione del governatore spagnolo Vicente Emparán e all’istituzione della Giunta suprema, prima forma di governo autonomo. Nello stesso anno si verificano, a catena, insurrezioni ed esperienze di autogoverno un po’ in tutto l’Impero coloniale: nel Vicereame del Rio della Plata, nel Vicereame della Nuova Spagna, nel Nuovo Regno di Granada, nella Capitaneria del Cile. Si è ormai accesa la miccia che porterà, al termine di un lungo braccio di ferro tra Madrid e gli indipendentisti, alla disintegrazione dell’Impero spagnolo in America e alla nascita di gran parte degli attuali Stati-nazione latinoamericani. Soltanto Cuba e Porto Rico, due isole, rimarranno in mani spagnole.Dietro il grido d’indipendenza dell’America latina ci sono le forze scatenate dalle nuove idee liberali, dall’Illuminismo, dalla Rivoluzione americana e francese; c’è l’insofferenza delle élite creole (i discendenti dei conquistadores spagnoli) nei confronti del monopolio commerciale imposto dalla madrepatria, nonché la loro rabbia per la scarsa rappresentanza di cui godono presso le Cortes iberiche; c’è la longa manus dell’Inghilterra, interessata a sostituirsi alla Spagna nei commerci con l’America latina; ma l’indipendenza non si sarebbe messa in moto senza un fatto determinante: l’ingresso delle delle truppe napoleoniche in Spagna e la successiva deposizione, nel 1808, di re Carlo IV, al cui posto si insedia Giuseppe Bonaparte. L’indipendenza delle colonie diventa improvvisamente pensabile e possibile grazie a un momento di debolezza della madrepatria. Ci sono però alcuni miti da sfatare sulla storia della rivoluzione indipendentista. Prendiamo ad esempio la tesi della storiografia liberale ottocentesca: l’Impero spagnolo e la Chiesa governano l’America in modo dispotico, mantenendola isolata e culturalmente arretrata; finché ad un certo momento il popolo delle colonie, stanco della schiavitù, insorge e conquista l’indipendenza. Ma nelle prime fasi dell’indipendenza – segnalano gli storici – l’obiettivo principale delle élite americane non era l’autonomia assoluta, ma una maggiore rappresentanza presso le Cortes, dove la Spagna peninsulare aveva trentasei delegati e le colonie solo nove. L’indipendenza totale dalla madrepatria era sostenuta in principio solo da pochi "estremisti", il suo conseguimento è stato l’esito inatteso di un radicalizzarsi della situazione.Altra leggenda da sfatare è quella romantica, che tende a ridurre l’indipendenza alle gesta di poche individualità eccezionali, dai poteri demiurgici: Bolívar in Venezuela, San Martín in Argentina, O’Higgins in Cile, Santander in Colombia, Hidalgo e Morelos in Messico, e via dicendo. Bisogna considerare che il mito degli eroi dell’indipendenza è stato in larga parte creato ad arte dai politici delle repubbliche nate dal collasso dell’Impero spagnolo, allo scopo di renderle governabili. Servivano icone che cementassero le unità e le identità nazionali, di per sé assai labili in Paesi dalla complessa conformazione etnica e dal passato precoloniale spesso di scarsa importanza. Il caso del Venezuela è esemplare. In un libro ormai celebre (El culto a Bolívar, 1973) lo storico venezuelano Germán Carrera Damas ha dimostrato come i politici venezuelani si siano sempre serviti del culto di Bolívar, da loro stessi creato, per legittimare il proprio operato agli occhi della popolazione. Hugo Chávez, con la sua retorica bolivariana, non fa che continuare una tradizione, con la differenza che invece di usare il Libertador per unire il popolo, lo utilizza per dividerlo, mettendo i poveri contro i ricchi.Anche se alcune recenti iniziative editoriali sembrano riproporre un’indipendenza fatta da uomini eccezionali – l’ormai classico Los libertadores: la lucha por la independencia de America latina, 1810 – 1830 (2010) dello storico Inglese Robert Harvey, riedito in occasione del bicentenario, e il recente Republicas de aire, di Rafael Rojas (2009) sono entrambi gallerie di ritratti dei primi repubblicani e dei protagonisti della rivoluzione – gli storici delle ultime generazioni hanno cercato di de-sacralizzare le figure degli eroi dell’indipendenza, inserendoli e comprendendoli all’interno del tessuto di relazioni sociali, culturali ed economiche del loro tempo. John Lynch, insigne studioso inglese, nell’apertura della sua equilibrata biografia di Bolívar (Simón Bolívar: A Life, 2006) ricorda quanto si sia ampliata, negli ultimi decenni, la nostra visione del processo indipendentista: i confini cronologici in cui normalmente venivano racchiuse le rivoluzioni latinoamericane sono stati ampliati, fino ad abbracciare tutto il periodo che va dal 1750 al 1850, visto come l’epoca in cui gradualmente le strutture coloniali vengono sostituite da quelle dei nuovi stati-nazione.Connesso al mito romantico degli eroi, c’è quello delle "nazioni sudamericane", anch’esso creazione a-posteriori delle nuove repubbliche nate dalla rivoluzione. L’idea dei padri dell’indipendenza, una volta cominciata la rivoluzione, non era quella di creare tanti stati nazionali, più o meno corrispondenti alle entità amministrative dell’Impero spagnolo, bensì quella di formare un grande stato continentale sul modello degli Stati Uniti. Anche da questo si capisce che le nazionalità sudamericane sono un’invenzione politica successiva. Tanto Simón Bolívar come San Martín sognavano la "Patria Grande" ed erano decisi a realizzarla nel Congresso di Panama del 1826, ma non ci sono riusciti per il boicottaggio dell’Inghilterra e degli Usa, che si sentivano minacciati dalla formazione di un grande soggetto politico continentale. Così, invece di un’unica "Patria Grande" e libera, si sono formate tante repubbliche formalmente autonome, ma di fatto dipendenti dall’Inghilterra e, in un secondo momento, dagli Usa.