Cinema. Bollywood, la fabbrica dei sogni indiana, cresce e diventa d’autore
Bollywood è sempre più in espansione
Se pensate che quella hollywoodiana sia la più imponente e prolifica cinematografia del mondo, vi sbagliate di grosso. La capitale mondiale del cinema è da tutt’altra parte, a Mumbai, ex Bombay, dove ogni anno vengono prodotti oltre un migliaio di film distribuiti in tutto il mondo, oggi anche grazie alla diffusione delle piattaforme streaming, e capaci di commuovere e divertire una sterminata platea che unisce indiani di diverse generazioni, estrazioni sociali e religioni.
A Bollywood (nome nato dalla fusione di Bombay e Hollywood) si ama, si piange, si ride, si combattono criminali e terroristi, ma qualunque sia il genere dei film prodotti, si canta e si balla. Vanno da cinque a nove infatti i numeri musicali per ogni titolo, ecco perché ogni produzione (della durata di almeno tre ore) richiede un anno di lavoro e un duplice impegno da parte degli attori che prima recitano su set e poi in sala doppiaggio (la presa diretta non fa parte della tradizione del cinema indiano), per poi cedere il passo ai cantanti professionisti che prestano la propria voce agli interpreti nelle parti musicali.
Se invece ti chiami Sharukh Khan e sei l’attore più famoso e amato di buona parte del continente asiatico potresti non avere tempo per doppiarti. In questo caso hai a tua disposizione un attore capace di imitare la tua voce e recitare al posto tuo anche in venti lingue diverse.Perché in India gli attori non sono solo grandissime star che la gente corre ad applaudire e fotografare al cinema o lungo i tappeti rossi, ma delle vere e proprie semi-divinità a cui affidarsi per consiglio e conforto.
Nato 110 anni fa con il lungometraggio Raja Harishchandra del leggendario Late Shri Dadasaheb Phalke, oggi il cinema popolare in lingua hindi viene per lo più realizzato nella celeberrima Film City, situata a nord della metropoli, un’area sterminata che comprende non solo sedici teatri di posa, ma anche 42 ambienti esterni che comprendono una foresta, una giungla popolata da leopardi, laghi, chiese, templi, centrali di polizia, palazzi, ospedali, strade, deserti, paesaggi innevati, montagne, colline. Anche se non di rado le produzioni si spingono in luoghi “esotici” come la Svizzera, che tanto assomiglia al Kashmir, e la stessa Italia: la città di Matera infatti è diventata una delle mete privilegiate delle produzioni bollywoodiane e nei mesi scorsi ha ospitato le riprese di Viswam, film d’azione diretto da Sreenu Vaitila che narra la storia di un uomo indiano incaricato di proteggere una bambina, unica testimone di un crimine. A marzo invece nella Città dei Sassi era stato realizzato Salaar, storia di due giovani provenienti da due diversi Paesi che si innamorano nonostante le distanze geografiche e culturali.
Ma se Bollywood produce il 30% del cinema di tutta l’India, non bisogna dimenticare altre importanti industrie locali come Tollywood, il cinema in lingua telugu che si produce a Hyderabad, e Kollywood, prodotto a Kodambakkam, località del Tamil Nadu.
E poi c’è il cinema indipendente, d’autore, che spesso si affaccia nei grandi Festival internazionali raccontando altre realtà che spesso il luccichio dei costumi bollywoodiani rischia di nascondere. Un cinema da poco celebrato dalla 25ª edizione del Jio Mami Mumbai Film Festival, guidato da Anupama Chopra e Maitreyee Dasgupta, con la direzione artistica di Deepti Dcunha, uno dei grandi appuntamenti per filmmaker, attori, produttori, sceneggiatori, critici e giornalisti indiani e dell’intera Asia del sud, organizzato dalla Mumbai Academy of Moving Image per accogliere 250 titoli in oltre 70 lingue diverse.
«Bellocchio, Moretti, Guadagnino, Rohrwacher – hanno detto le direttrici – sono autori molto amati nel nostro Paese. Ogni regista indiano vi dirà che a spingerlo dietro la macchina da presa è stato Ladri di biciclette di Vittorio De Sica. Bollywood è così forte sul mercato da costituire un ecosistema autosufficiente, ma il cinema mainstream ha sempre sostenuto un festival come Jio Mami, il cui obiettivo è quello di scoprire nuovi talenti, far conoscere il cinema indipendente e quello internazionale. Il festival funziona come un laboratorio di sperimentazione e di nuove voci, luogo di formazione per nuove generazioni di registi. Qui celebri registi fanno la coda per assistere ai film di colleghi meno famosi, se non addirittura esordienti. Tendenze? Sempre più donne dietro la macchina da presa, personaggi femminili forti, sorellanza, tematiche legate all’identità di genere. Nonostante le piattaforme abbiano avuto un grosso impatto sull’industria, le sale restano centrali nella vita quotidiana degli indiani: se da noi la pandemia non ha ucciso il cinema, non potrà farlo nient’altro».
Presidente della giuria di questa edizione del Festival è stata Mira Nair, terza regista (prima di lei solo Margaretha von Trotta e Agnès Varda) a vincere il Leone d’oro a Venezia. È accaduto nel 2001 con Monsoon Wedding – Matrimonio indiano, e il presidente di giuria al Lido era Nanni Moretti. La Nair, protagonista di una masterclass presa d’assalto dal pubblico, ha ripercorso la sua carriera che tanto ha ispirato le giovani generazioni di cineasti. «Sin dai miei primi cortometraggi, che hanno preceduto Salam Bombay!, premiato a Cannes come miglior esordio, mi sono dedicata al cinema del reale e anche con i miei film di finzione racconto la bellezza e la brutalità urbana. Il mio cinema è in strada, dove spesso trovo anche i miei attori. Non mi interessa la retorica del terzo mondo, viviamo in un luogo vibrante, ricco di umanità, anche se sporco e povero».