Ebbene sì, l’abbiamo sempre sospettato che le bolle di sapone avessero qualcosa di religioso. Precarie quanto iridescenti, perfette e insieme effimere; e poi aeree, misteriose, poetiche, essenziali, une e talvolta trine, corporee ma nello stesso tempo inconsistenti, materiali e spirituali... Che c’è di meglio di una bolla di sapone per esprimere la fede? E infatti nell’enciclopedia assoluta delle
Bolle di sapone, compilata con passione e acribia dal matematico (non credente) Michele Emmer, un capitolo sulle bolle «religiose» c’è. Incredibile, ma c’è.E non riguarda quegli atti ufficiali che i Papi del passato emanavano con tanto di sigillo in ceralacca, e pertanto appunto «bollati», e di tutt’altro peso specifico; bensì proprio le sfere traslucide con cui si divertono i bambini, dopo averle prodotte col fiato modulato attraverso un anello intinto nell’acqua saponata. Ma che c’entra dunque codesto gioco dei poveri, questo passatempo antico, con la fede – e il cristianesimo in particolare? È lo stesso Emmer a metterci sulla strada, allorché rivela di aver scoperto – con gran stupore – l’immagine di un putto che spara bolle di sapone istoriata in bronzo sul pavimento della cattedrale secentesca di Maiorca. Che ci faceva quel bambino nascosto in un luogo tanto sacro? Che andasse fuori a giocare, se proprio ne aveva voglia... E invece no: il ragazzino era proprio al posto suo, ovvero sulla lapide di un’antica tomba, a significare nientemeno che la fragilità e brevità della vita umana. Del resto, una delle prime apparizioni delle iridescenti sfere nella storia dell’arte risale alla miniatura di un
Libro d’ore francese del Cinquecento, mentre fino al secolo scorso non erano rari i santini che proponevano alla devozione un Gesù Bambino che liberava verso il cielo tante leggiadre bolle grazie all’apposita cannuccia... «Vanità delle vanità, tutto è una bolla di sapone...». Se il prezioso detergente fosse già stato inventato (la sua scoperta è incerta, di sicuro in Europa arrivò grazie agli arabi), Qoelet avrebbe potuto legittimamente esprimersi così. L’
Homo bulla è stato in effetti un luogo comune dell’ascetica cattolica e non solo: Luciano di Samosata, Varrone e Petronio sono alcune referenze per tale metafora della fugacità e vanità dell’esistenza. Ma le bolle «teologiche» acquistano consistenza e durata nella cultura occidentale soprattutto grazie al solito Erasmo da Rotterdam. Dal XVII secolo in poi è l’arte olandese a rappresentare la leggerezza delle bolle negli allegorici «Trionfi della vanità», accanto a simboli come il teschio, il fumo e i fiori secchi. «Chi sfuggirà?» (sottinteso: alla morte) è il tema e spesso pure il titolo di tali incisioni, più stoico-epicuree che cristiane in verità, il cui capostipite è Hendryk Goltzius e dove il messaggio morale viene debolmente mascherato dietro l’apparente realismo di un puttino che si trastulla con le sfere di sapone. Del resto le bolle sono trasparenti e attraverso di esse si può vedere di tutto. Per esempio la perfezione, che rimane una caratteristica della sfera anche allorché quest’ultima sia effimera nella sua evanescente buccia tensoattiva. Anzi, proprio così sarà in grado di esprimere contemporaneamente l’eternità e l’attimo, la bellezza e l’umiltà e alcuni altri degli ossimori che costituiscono le qualità della divinità anche cristiana (a proposito di dei: non è un caso se proprio un quadro con le bolle di sapone sarà il soggetto di una delle prime campagne pubblicitarie che si conoscano, quella del «sapone trasparente Pears» nel 1887, e che farà gridare allo scandalo per la «mercificazione» dell’arte...). All’estremo opposto ma contiguo sta la desacralizzazione, ovvero la satira. Che nell’Ottocento non tarda ad impossessarsi delle fragilissime bolle per illustrare soggetti politici o anche religiosi. Ecco dunque una tavola in cui la Francia, raffigurata come splendente dea che riposa sui Diritti dell’Uomo, fa scoppiare con un sovrano tocco delle dita tutte le bolle che il Pontefice le indirizza: gli anatemi come vane e impotenti palline di sapone, appunto. Un’idea ripresa e aggiornata sulla copertina di un recentissimo volume anticlericale,
L’infedele guida alle religioni del mondo Macro Edizioni), sulla quale i simboli delle fedi sono avvolti appunto in altrettante bolle di sapone pronte ad esplodere alla prima punzecchiatura della ragionevolezza (o dello scetticismo). Sottotitolo: «L’ateismo non è mai stato così divertente»; e dunque riaffiora l’antico riflesso ludico delle bolle. Ma c’è poco da scherzare: secondo recenti studi, pare che il famoso «brodo primordiale» dal quale scaturì la vita sia stato piuttosto una schiuma, ovvero un condominio di microscopiche bollicine (ah, il mito: anche Venere nacque dalla spuma del mare...). E in effetti la forma elementare della sfera si è spesso dimostrata la più versatile nel proteggere, come pure la più agile ad associarsi; succede anche alle bolle di sapone, di saldarsi solidalmente in costruzioni poetiche ed astruse, modellando le loro pareti ben oltre le dimensioni della geometria regolare. Una sfera di nulla scoppia e via; tante sfere di nulla generano una struttura che può diventare persino solida e che – sostengono gli scienziati, Emmer tra loro – possiede proprietà matematiche straordinarie e non ancora tutte spiegate, utili in svariate applicazioni dalla architettura (le vele che coprono gli stadi) alla chimica. Divine bolle: in un’opera buffa interpretata anni fa da Gigi Proietti, Dio sottometteva il Giudizio universale a una gara tra chi sarebbe stato capace di creare il suono più bello del mondo e chiese all’angelo di riprodurre la musica delle bolle di sapone; ma il cherubino venne sconfitto. Non è facile essere all’altezza di una bolla di sapone, ed Emmer lo fa capire riportando due frasi celebri: «Fate una bolla di sapone e osservatela: potreste passare tutta la vita a studiarla» (dell’illustre fisico irlandese lord William Thomson Kelvin) e «Mi chiedo quanto sarebbe necessario per comprare una bolla di sapone, se al mondo ne esistesse soltanto una» (dello scrittore e umorista americano Mark Twain). Ma anche soltanto stando alla letteratura di casa nostra, la madre del
Barone rampante di Italo Calvino soccombe quando non ha più la forza per scoppiare una delle bolle che il figlio Cosimo le invia da un albero e attraverso la finestra per divertirla; e non sembra una brutta morte. Finire in una bolla di sapone non è dunque un destino tanto disprezzabile.