Idee. Biblioteche, ospedali d’anime
Ma, per fortuna, la biblioteca può essere soprattutto sede dello spirito, nella sua forma più alta e più nobile. È per questo che bisogna battersi per renderla sempre più viva, funzionale, aperta, capace di trasmettere quel respiro dell’anima che per secoli ha avuto il compito di comunicare. Non per nulla Federico il Grande nel 1780 sul frontone della Biblioteca Reale di Berlino aveva posto la titolatura Nutrimentum spiritus. Certo, c’è un aspetto anche "tecnico" da considerare. Esso si manifesta ora con l’avvento della civiltà informatica che ha dato origine non solo a nuovi modelli catalografici ma a una vera e propria inedita biblioteconomia, con accessi diretti e immediati ai libri custoditi nelle più disparate biblioteche del mondo, senza più intraprendere viaggi.Ma è soprattutto lo spirito che nelle biblioteche celebra le sue liturgie. Tra parentesi, non si deve dimenticare che i monasteri (Bobbio, Montecassino, Grottaferrata, Farfa, Novalesa, Pomposa, S. Caterina al Sinai…) – e c’è voluto Il nome della rosa di Eco per ricordarlo al grosso pubblico – ospitavano biblioteche straordinarie. Un aforisma medievale non esitava ad affermare che claustrum sine armario, quasi castrum sine armamentario, «un monastero privo dell’armadio dei libri è come una piazzaforte senza munizioni e armi». E la regina delle biblioteche non è in una corte imperiale né in una metropoli storica, bensì in Vaticano!
Legata alla Vaticana è la «Biblioteca Joseph Ratzinger», ove aleggia la presenza di Benedetto XVI. Ed è proprio a lui che vorremmo lasciare la parola con una sua curiosa "confessione", testimoniata durante la sua visita alla Biblioteca Apostolica Vaticana il 25 giugno 2007: «Confesso che al compimento del mio 70° anno di età, avrei tanto desiderato che l’amato Giovanni Paolo II mi concedesse di potermi dedicare allo studio e alla ricerca di interessanti documenti e reperti da voi custoditi con cura, veri capolavori che ci aiutano a ripercorrere la storia dell’umanità e del cristianesimo. Nei suoi disegni provvidenziali il Signore ha stabilito altri programmi per la mia persona ed eccomi oggi tra voi non come appassionato studioso di antichi testi, ma come pastore».In verità anche come pastore della Chiesa universale, Benedetto XVI non ha cessato di custodire in sé l’anima del cultore della parola e del libro, anche senza risiedere e trascorrere i suoi giorni in quell’«accogliente casa di scienza, di cultura e di umanità, che apre le porte a studiosi provenienti da ogni parte del mondo, senza distinzione di provenienza, religione e cultura», com’era ai suoi occhi la Biblioteca Vaticana. L’attuale raccolta degli scritti di lui e su di lui attesta appunto il suo straordinario curriculum di studioso, di teologo, di lettore. È sorprendente, infatti, intravedere in filigrana alle sue pagine non solo l’apparato imponente delle sue letture patristiche, esegetiche, teologiche, filosofiche ma anche le incursioni nella letteratura e cultura «laica»: ad esempio, nella sua notissima Introduzione al cristianesimo occhieggiano, accanto ai classici della teologia, autori come Bernanos, Buber, Camus, Hölderlin, Lucrezio, Nietzsche, Sartre e così via.Ma, come si diceva, anche nel suo ministero petrino Benedetto XVI non ha cessato di custodire il suo amore per la parola e per il libro, convinto – come dirà in un altro messaggio rivolto al Bibliotecario di Santa Romana Chiesa, il cardinal Raffaele Farina, il 9 novembre 2010 - che «l’apertura, veramente cattolica, universale a tutto ciò che di bello, di buono, di nobile, di degno (cfr Fil 4,8) che l’umanità ha prodotto nel corso dei secoli» sia sempre da accogliere, perché «nulla di quanto è veramente umano è estraneo alla Chiesa».
Ascoltiamo il celebre discorso al mondo della cultura al Collège des Bernardins di Parigi il 12 settembre 2008: «La ricerca di Dio richiede per intrinseca esigenza una cultura della parola... Escatologia e grammatica sono interiormente connesse l’una con l’altra. Il desiderio di Dio include l’amore per le lettere, l’amore per la parola». In questa luce «diventano importanti le scienze profane che ci indicano le vie verso la lingua. Poiché la ricerca di Dio esige la cultura della parola, fa parte del monastero la biblioteca che indica le vie verso la parola».Questa comunione con la Parola si ripete ogni volta che la lectio si trasforma in ascolto e in intimità con Dio anche nei momenti più ardui ed estremi, quasi come un viatico. È quello che ricorda Romano Guardini, autore caro a Benedetto XVI e a papa Francesco nel suo Elogio del libro (1951), ove descrive un episodio bellico tragico per un gruppo di soldati bloccati in una sacca, circondati dai nemici e votati alla morte: «Il cappellano militare, sentendo che non aveva più nulla da dire di accettabile in quell’ora, tolse di tasca il proprio Nuovo Testamento, ne strappò le pagine e ne diede una ad ogni soldato». Si compiva, così, una sorta di estrema comunione «sacramentale» con la Parola.