Restare connessi alla vita reale, in un mondo che si illude di essere unito grazie alla tecnologia. I “nessi” di Alessandro Bergonzoni hanno a che fare con la vita e con la morte, con i fili che ci legano gli uni agli altri. Fili che l’artista bolognese muove da perfetto burattinaio della parola nel nuovo spettacolo
Nessi, applauditissimo al Teatro Elfo Puccini di Milano, avvolgendo in una morsa “pensante” il pubblico proprio nel momento in cui questo abbassa le difese davanti alle armi della comicità. Bergonzoni, dopo trent’anni in scena, quattordici spettacoli, svariati romanzi, un costante impegno nel sociale (l’ultimo coi ragazzi del carcere minorile Ferrante Aporti di Torino), oggi arriva a una svolta. Non a caso l’artista debutta nella poesia con la nuovissima raccolta
L’amorte edita da Garzanti (pagine 164, euro 12,00). Una svolta più vicina al cuore del pubblico, meno cerebrale, dove la “meraviglia” del coltissimo gioco di parole rallenta il ritmo per accompagnarci, passo passo, verso una nuova coscienza. «È finito il tempo dei leader. Falcone, Mandela, don Diana siamo noi –grida dal palco –. Non possiamo più nasconderci dietro a un “non ci riesco”».
Bergonzoni, quali sono questi nuovi “nessi”?«Non hanno a che fare con la connettività di internet che usiamo quotidianamente. I nessi hanno a che fare con i legami e i legacci dell’uomo che da quando nasce a quando muore annodano le persone. Con i lontani, gli sconosciuti, gli evitati. Grazie alla rete pretendiamo di essere dappertutto e con chiunque, ma il nostro corpo, la nostra mente e la nostra anima non sono accanto a nulla. Attraverso i media crediamo di avere esaurito la nostra conoscenza. Occorre invece una rinascita, occorre risorgere».
Da dove ripartire, allora?«Attraverso la comicità, le forme d’arte e, soprattutto, la poesia noi riusciamo a stabilire un contagio, una vicinanza, una presenza e anche un cambiamento. Prima della politica, bisogna parlare di ante-politica. E quello che viene prima è la poetica. Noi invece effettuiamo dei “geniocidi”, l’assassinio della parte più artistica, poetica e metafisica che è in noi: è il più grande obbrobrio che possiamo commettere».
Il suo spettacolo suona come un invito a tornare a un concetto “antico”, quello della partecipazione.«Non possiamo più permetterci di cercare un leader, ma dobbiamo diventare noi stessi leader del nostro partito politico, della nostra Europa, della nostra Italia e del nostro cosmo. Noi siano diventati Falcone e Borsellino e dobbiamo smettere di pagare il pizzo alle nostre ’ndranghete che sono certe pubblicità, certi non ci riesco, certi non posso, certa televisione, certa radio. L’artista è il pubblico, il nostro è un lavoro artistico comune. Il bene comune è quello che si vuole a quelli che non si conoscono».
Bergonzoni, il suo è comunque un discorso “politico”.«La gente oggi si ribella, ma non occorre cambiare partito, occorre cambiare spartito. Spartito musicale interiore. Ovviamente esistono la democrazia e il voto. Ma noi votiamo ogni giorno: quando guardiamo un handicappato, quando ne abbiamo fastidio, quando non sopportiamo la morte. Siamo sempre alle urne. Nello spettacolo dico: “Io non posso mica, mio non riesco mica: chi è questo mica che non ci permette di operare?”. Noi siamo opere d’arte, operanti e operabili. Io non posso più fare solo lo scrittore, l’artista, l’attore e poi sono a posto con la vita. Io devo cominciare quello che è considerato il dovere degli altri».
Nello spettacolo, lei dice essere stanco delle divisioni in categorie, anche fra credenti e non credenti...«Innanzitutto sono insofferente verso certi cambiamenti superficiali. L’esoterismo e la new age sono sempre in agguato, con un atteggiamento estetico (e statico) che si limita a lanciare mode alimentari. Il cambio va fatto con un moto interiore. Non parlo di religione, o di dogmi. A me interessa la spiritualità, la metafisica, la surrealtà, l’oltre. Nello spettacolo dico che non sopporto di dividere il mondo in credenti, non credenti, laici e quant’altro. A me interessano i non creduti e gli incredibili, i non veduti e non visibili».
Tutto questo a che fare anche con il suo impegno con la “Casa dei risvegli di Luca De Nigris” di Bologna?«Certamente. Il mio lavoro con loro si è ampliato. Il 10 giugno sarò a Varese per un incontro pubblico con un neurologo sul tema “La coscienza della cura”. Il concetto di “curabile” è più importante di “guaribile”. Dicono che una persona quando guarisce si salva: no, quando è curata si salva. La “Casa dei risvegli” mi ha dato la possibilità di avvicinare la vita e “la vita della morte”. È proprio quello che ispira il mio libro di poesie
L’amorte».
Vita e morte si intrecciano sempre più nel suo percorso artistico.«Non possiamo separare vita e morte, davanti alla Siria, agli immigrati, a quello che è costante sacrificio umano. Quando mi piego dietro un bidone della spazzatura per allacciarmi una scarpa devo essere in connessione con un siriano che in questo momento è dietro un bidone perché un cecchino gli sta sparando. Noi siamo invocati da quelli lontani da noi. Io non voglio amici di Facebook. Nel mio sito
www.alessandrobergonzoni.it lancio il progetto artistico
Vite in fasce [che è anche il monologo finale dello spettacolo di cui proponiamo un estratto,
ndr]. Pubblico il numero aggiornato delle morti e delle nascite nel mondo: quelli sono tutti gli amici che avevo, e sono tutti gli amici nuovi che avrò. Sono stanco dell’umanità, a me interessa la sovrumanità. Altrimenti l’uomo resta solo un uomo».