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CALCIO - LA STORIA. Bergamini, un giallo da finire

Massimiliano Castellani lunedì 18 novembre 2013
Il calcio italiano da sempre sopravvive tra scandali, zone d’ombra e troppo spesso è vittima dell’omertà. Ed è stata questa stessa omertà ad infittire il mistero del calciatore che venne ucciso verso sera: il 27enne Donato “Denis” Bergamini, centrocampista del Cosenza, trovato morto il 18 novembre 1989, al chilometro 401 della Statale Jonica, all’altezza di Roseto Capo Spulico. La prima indagine della procura di Castrovillari, che faceva acqua da tutte la parti, venne chiusa in fretta e furia e parlava di suicidio del calciatore. Una verità confutata un decennio più tardi da un libro-inchiesta scritto dall’ex bomber caduto nel fango del dio pallone, Carlo Petrini, che già nel titolo parlava di Bergamini Il calciatore suicidato (Kaos Edizioni). In quelle pagine, Petrini sosteneva convinto la tesi dell’«omicidio», seguendo piste scomode che rimandavano al giro del calcioscommesse e a quello del traffico di droga che sarebbe stata trasportata durante le trasferte del Cosenza e al quale Bergamini si sarebbe opposto. Piste forse distanti dalla presunta verità che sta affiorando in questi ultimi mesi. La riapertura dell’indagine, nel giugno del 2011, da parte della Procura di Castrovillari segue infatti la via dell’omicidio volontario, a seguito del memoriale depositato dall’avvocato Eugenio Gallerani, il nuovo legale scelto dalla famiglia Bergamini. Una famiglia che nella casa ferrarese di Boccaleone, da 24 anni attende di «conoscere chi e perché ha ucciso il nostro Denis». E non è un caso, o così ci piace pensare, che proprio domani, 18 novembre, il pm di Castrovillari Franco Giacomantonio e la sostituta Maria Grazia Anastasia, abbiano convocato i due indagati per la morte di Bergamini: l’ex fidanzata Isabella Internò, indagata per concorso in omicidio volontario e il camionista Raffaele Pisano, indagato per favoreggiamento e false informazioni al pm. Loro due erano presenti sul luogo in cui è stato ritrovato Denis già cadavere e dalle loro versioni, contraddittorie e assolutamente non credibili, la domanda che si pone la famiglia del calciatore: «Come è stato possibile che per oltre vent’anni sia stata accreditata la versione del suicidio?». Chi ha conosciuto bene Bergamini, sa che era un ragazzo solare, innamorato della vita e del suo mestiere di calciatore. «Quando venne ucciso, era all’apice della carriera: aveva un contratto da 180-200 milioni di lire a stagione. E proprio in quei giorni si compiaceva con amici e famigliari di quanto fosse fortunato, per il fatto che lo pagavano così lautamente per quella che in fondo era stata la sua passione fin da bambino», spiega l’avvocato Gallerani. Il legale, assieme ai genitori di Denis è sceso a Cosenza, dove ieri sera dopo la partita della formazione locale contro il Chieti  - campionato di Seconda divisione - i tifosi (che hanno creato il sito www.denisbergamini.com), 400 ragazzi della scuola calcio e parte della città, hanno preso parte a una fiaccolata in memoria di Bergamini. «Il giorno dei suoi funerali c’erano più di 20mila persone...», ricordano commossi papà Domizio e la sorella Donata. «Denis non soffriva di alcun tipo di depressione, quella mattina era uscita un’intervista su La Gazzetta del Sud in cui incitava i compagni a tornare alla vittoria contro il Messina - dice Donata - . Mio fratello sarebbe potuto rimanere comodamente a Cosenza anche la stagione successiva o magari accettare l’offerta di squadre di Serie A: lo avevano richiesto il Parma e la Fiorentina di Roberto Baggio che in quel periodo era allenata dal suo ex allenatore Bruno Giorgi che lo stimava tantissimo. «Ma qualcuno quaggiù mi vuole male», avrebbe confidato Denis, i giorni precedenti la sua morte, alla nuova fidanzata. Una 22enne romagnola, con la quale condivideva anche la passione per lo sport: giocava a calcio nella squadra femminile del Russi, e alla quale teneva molto. Ma chi, per l’opinione pubblica cosentina, voleva essere ancora accreditata come la fidanzata ufficiale di Bergamini, era Isabella. Ragazza conosciuta nell’85, quando non aveva ancora 16 anni e che dopo la rottura del fidanzamento alla moglie di un suo compagno di squadra si era lasciata sfuggire: «Piuttosto che sapere Denis con un’altra, preferirei vederlo morto...». Oggi Isabella è sposata con Luciano Conte, poliziotto: «Un amico di famiglia che mi conforta», dichiarò cinque giorni dopo la morte di Denis. Una morte avvolta in un alone nero, a partire dall’ultima telefonata che Bergamini ricevette alle 15.30 di quell’ultimo pomeriggio in ritiro con la squadra. «Con lui c’era il compagno di squadra e coinquilino Michele Padovano (poi arrestato nel 2006 per traffico internazionale di droga e condannato in primo grado) che dichiarò di aver visto Denis «molto preoccupato appena riattaccò il telefono». Telefonata che il pm di allora non si premurò neppure di controllare sul tabulato per risalire al numero e quindi non venne messa neppure agli atti. Agli atti non risultarono neppure le ipotetiche “tre persone” che avrebbero prelevato Bergamini al cinema dove si era recato, come quasi ogni vigilia di partita, con tutta la squadra. Denis alle 17.30 venne poi fermato a bordo della sua Maserati bianca a un posto di blocco dal brigadiere Francesco Barbuscio (deceduto), ma anche su questo controllo non sono state fatte le dovute verifiche. Due ore dopo, Bergamini, secondo i due unici testimoni e ora indagati, si sarebbe gettato sotto il tir guidato dal camionista Raffaele Pisano. «Nell’udienza dibattimentale del 1991 - spiega l’avvocato Gallerani - , Pisano disse di aver frenato all’ultimo momento e di aver visto Bergamini in piedi, mentre il corpo del calciatore, secondo la perizia medico legale effettuata dal prof. Francesco Maria Avato, era già disteso in terra». Fu soltanto una messinscena quella del suicidio e la conferma più evidente è che Bergamini non aveva neppure un osso fratturato, quindi da escludere categoricamente la morte per schiacciamento. «Difficile rimanere illesi quando ti passa sopra un camion che trasportava 138 quintali di mandarini», ripeteva Carlo Petrini. «Dalla foto scattata dai carabinieri si intravede che il portafoglio di Denis era perfettamente integro e lo tiene ancora nella tasca posteriore - racconta papà Domizio -. Orologio, catenina, scarpe e vestiti in perfetto ordine. Anche se i vestiti non sappiamo perché, ma non vennero più ritrovati. Ci dissero che erano stati bruciati all’ospedale di Trebisacce». Uno dei tanti, troppi dettagli misteriosi di questo dramma (sul quale pochi hanno indagato a fondo come invece ha continuato a fare la trasmissione di Raitre “Chi l’ha visto”). Come misteriose sono state altre due tragiche fatalità, successive e forse legate al caso Bergamini: le morti dei due maganizzieri del Cosenza, Alfredino Rende e Domenico Corrente, che avevano confidato ai genitori del calciatore di sapere qualcosa riguardo alla morte del loro figlio. Un figlio per il quale tutti, a cominciare dal popolo degli stadi, ora chiedono di sapere la “verità”.