Lo scrittore nigeriano. Ben Okri: «Migranti, il sogno del ritorno è diventato incubo»
Ben Okri
Oggi, lunedì 29 maggio, alle ore 21, Ben Okri sarà ospite della Milanesiana, ideata e diretta da Elisabetta Sgarbi, presso l’Almo Collegio Borromeo. L’autore nigeriano leggerà il testo qui anticipato e dialogherà con Abdulrazak Gurnah, che riceverà il Premio Rosa d’Oro della Milanesiana (opera di Gerardo Sacco). Saluti istituzionali del ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano e del Magnifico Rettore Alberto Lolli. A seguire concerto di Gile Bae, interviene Francesco Micheli.
Il mito del ritorno è profondamente radicato nello spirito umano. Molte delle nostre primissime storie parlano di ritorni. Molte delle nostre religioni si basano sull’inevitabilità del ritorno. Le grandi opere letterarie sono ossessionate dalla difficoltà e a volte dall’impossibilità del ritorno. Mircea Eliade ha indagato il fascino esercitato dal ritorno in un testo imprescindibile, Il mito dell’eterno ritorno, appunto. La nostalgia alla base del ritorno è legata, nella mentalità cristiana, al concetto di caduta. È come se nel profondo della psiche umana ci fosse l’idea di una dimora maestosa e stabile che abbiamo lasciato, o da cui siamo stati cacciati o esiliati, e dove abbiamo un grande desiderio di tornare. Non può esserci idea di ritorno senza l’idea ancora più grande di una dimora eterna o terrena.
In termini climatici vorremmo ritornare a un tempo in cui l’inquinamento era minimo. Vorremmo cancellare le grosse industrie inquinanti, le macchine, gli aerei e tutti quei rifiuti non riciclabili gettati nei mari e nei fiumi che costituiscono i residui della vita contemporanea. Vorremmo tornare indietro e invertire la rotta disastrosa del progresso umano. Lo vorrei anche io. Vorrei veder tornare le vaste foreste dAfrica, il mogano e l’obeche che raschiano le porte del paradiso. Vorrei che i fiumi tornassero a essere puliti e l’aria fragrante. E per un attimo durante il lockdown, nel pieno della crisi del covid, quando le strade erano silenziose e i cieli azzurri per l’assenza di inquinamento abbiamo avuto una fitta di vivida nostalgia. Per un attimo abbiamo visto com’erano una volta le cose o come potrebbero essere. È questo che mi fa pensare che forse la brama del ritorno è un impulso che fraintendiamo. Forse sono solo brevi apparizioni provenienti da altri regni dell’eterno possibile sempre latente nello spirito umano: apparizioni che hanno lasciato tracce di memoria nei miti della terra. Forse la brama nasce perché non abbiamo mai veramente raggiunto certi stadi della vita culturale e politica. Forse la brama nasce perché siamo a corto di certe visioni di ciò che potremmo essere: visioni che si sono realizzate solo brevemente nella fragile realtà delle cose. In questo senso la brama del ritorno è l’interpretazione distorta del desiderio di raggiungere l’illuminazione o lo stato spirituale più elevato di cui siamo capaci. Il mito è la dimora perfetta per questo desiderio e per questa visione. E il rito è il luogo in cui il mito trova la sua rappresentazione più profonda.
L’ho toccato con mano nella generazione di africani che venivano in Europa a studiare negli anni prima dell’indipendenza. Per molti di loro erano anni duri, anni in cui si dovevano lasciare alle spalle la sicurezza della patria per andare a cercare quello che allora veniva volgarmente chiamato il Vello d’oro. Molti avevano studiato latino e greco secondo il classico iter coloniale ed erano andati all’estero per conseguire una formazione universitaria solida, che avrebbe fatto di loro la nuova classe dirigente della Nigeria. Per molti non era la ricerca che avevano sognato: al loro arrivo si erano trovati di fronte un razzismo sconcertante e avevano dovuto affrontare inverni rigidi. Molti dovevano fare lavori umili per pagarsi gli studi. Io sono cresciuto a Londra e vedevo quella generazione guardare con brama alla magia del ritorno. Idealizzavano i villaggi e le tradizioni, il cibo, il sole, le amicizie e i tempi della scuola. E molti avevano salutato il ritorno festeggiando. Ma il vero ritorno era stato compromesso dalla corruzione e dal disaccordo fra le tribù e poi distrutto dalla violenza della guerra civile che aveva dilaniato il paese. E così il ritorno rimane per me ambivalente, a parte nella musica classica, nelle sinfonie e nei concerti, dove la melodia principale spesso ritorna, arricchita e complicata, anche se a volte in chiave diversa.
E nel piccolo della nostra vita è incredibile vedere come certi problemi, condizioni, destini o sogni ritornino. Mi sono accorto che nella vita dei miei amici continuano a ripresentarsi le stesse sfide. E voi avrete notato che in un paese spesso si ripresentano le stesse difficili situazioni. Ve ne andate per dieci anni e trovate il paese nelle stesse condizioni di quando siete partiti. A livello mondiale certe cose accadono con una regolarità allarmante. In certe zone le guerre ritornano. La pandemia colpisce ancora, seguendo il disegno di cento anni fa. In una certa Africa c’è sempre la stessa mancanza di leadership. In Europa ci sono sempre gli stessi flussi migratori. In America lo stesso razzismo velenoso. Il grido di Stephen Dedalus in Ritratto di un artista di Joyce, «La storia è un incubo da cui cerco di svegliarmi» diventa ancora più toccante.
E poi tutto ritorna. Sembra che il ritorno sia incastonato nel tessuto dell’universo. All’inizio dei tempi il big bang diede origine alla materia, alle galassie e all’espansione dell’universo. Gli scienziati e gli astrofisici ipotizzano che quando cesserà di espandersi, l’universo comincerà a contrarsi di nuovo fino a che non ritornerà all’unicità originaria che diede inizio al tutto. La sua fine è il suo inizio e il suo inizio è la sua fine. Tutte le cose torneranno a quel nulla che non è e non potrà mai essere un nulla. Perché nonostante la tesi quantistica frazionaria, secondo cui la minima frazione di energia immaginabile può dare origine alla condizione della materia, il nulla in senso assoluto non potrà mai dare origine a qualcosa. L’espansione e la contrazione, la partenza e il ritorno, l’onda che viene e l’onda che va, questo pare essere il principio fondamentale della macronarrativa di tutte le cose. Molte leggi della fisica dicono che quello che sembra un ritorno in realtà non lo è: è solo un altro aspetto della narrativa dell’energia. Vale pertanto la pena chiedersi se possa davvero esserci una partenza se tutte le cose sono racchiuse nel grande ventre dell’universo e se possa davvero esserci, di conseguenza, un ritorno. Forse tutti questi stati fanno parte di una grande illusione. Forse quelli che rimangono sono quelli che partono, e quelli che partono sono quelli che rimangono.
(Traduzione Elena Malanga)