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L'intervista. BEBE VIO, la mia vita è un sogno

Carmen Morrone martedì 9 giugno 2015
È l’unica atleta al mondo che tira di scherma con la protesi al braccio. Per lei i vertici mondiali hanno cambiato i regolamenti allargando anche a chi è amputato di braccia e gambe l’accesso, in un’adeguata categoria, alle gare paralimpiche. La campionessa di scherma Beatrice “Bebe” Vio si sta preparando per i Giochi di Rio 2016. La gara più importante saranno i Mondiali in Ungheria a settembre. Intanto, però, si è presa quest’anno pre-olimpico per promuovere un libro e portare a Expo i “Giochi senza barriere”. Brava e precoce Bebe, un’autobiografia già a 18 anni... «In realtà non è un’autobiografia. Nel libro si racconta la mia storia, ma non solo. E poi non lo volevo proprio fare. Perché un libro lo scrive chi si ritira dalle scene, oppure un vip. Io non sono nessuno dei due». E invece come l’hanno convinta? «Hanno usato tre argomenti. Il primo: tanti bambini muoiono a causa della mia malattia. La meningite è poco conosciuta. E tanti non sanno che c’è un vaccino. Quindi scrivere un libro è un modo per informare sulla malattia e sulla prevenzione». Gli altri due motivi? Il secondo riguarda la possibilità di far conoscere l’associazione “art4sport” che aiuta, dal punto di vista economico e organizzativo, le famiglie di bambini con protesi per permettere loro di giocare e divertirsi quotidianamente attraverso l’attività sportiva. Infine, sono d’accordo con chi pensa che ci sia ancora da lavorare per abbattere i pregiudizi». Cosa c’è d’altro nel suo libro? «Le storie dei ragazzi che fanno sport con l’associazione “art4sport”. Nessuno di noi è un super-eroe, ma la nostra esperienza vuole dire agli altri: svegliatevi. Non state in casa. Puoi fare tante cose anche se ti muovi su di una carrozzina, hai le protesi, o non vedi, o non senti. E anche ai cosiddetti normodotati, il libro dice tante cose. Quando incontro gente che si lamenta perché semplicemente insoddisfatta o annoiata, mi viene voglia di urlargli in faccia: ma hai visto me?». La quinta edizione dei “Giochi senza barriere” all’Expo. Ce la vuole raccontare? «Per la prima volta i Giochi non si svolgono a Mogliano Veneto. E in occasione di Expo saranno a Milano, il 27 giugno all’Arena civica. Otto squadre provenienti da otto regioni italiane (Piemonte, Lombardia, Veneto, Friuli Venezia Giulia, Toscana, Emilia-Romagna, Lazio, Sardegna), ognuna composta da 20 giocatori, disabili e non, affronteranno prove sullo stile di Giochi senza Frontiere e sul tema di Expo che è l’alimentazione». Lei è fra gli Expo ambassador. Cosa significa? «Sono fra i portavoce del tema “Nutrire il pianeta. Energia per la vita”. Credo molto nella parola Energia. Se penso a Expo mi vengono in mente colori vivaci, tutti diversi che si mescolano e che insieme danno un altro colore ancora. Le diversità sono una cosa positiva». Rio 2016, sarà la sua prima Paralimpiade. Come si sta preparando? «Mancano esattamente 456 giorni. Ho messo il conto alla rovescia sul cellulare. Ogni mattina lo guardo...». Determinata e convita, vero? «Ho messo la testa a posto: basta panini e hamburger, basta spritz. Sono attenta all’alimentazione, faccio palestra con regolarità, vado a letto presto. Mi sto già calando nello spirito olimpico». Finalmente gareggerà in una categoria adatta alle sue abilità. È così? «Sì. Quando iniziai avevo avversarie appartenenti alla categoria A. Ora sono nella categoria B dove ci sono atleti con disabilità paragonabili alla mia. In ogni caso, al momento, sono l’unica a non avere tutti e quattro gli arti naturali e quindi a essere costretta a impugnare il fioretto con la protesi». Come fa a conciliare allenamenti e scuola? «Con la massima organizzazione del tempo. In questo la mia famiglia è fantastica. L’anno prossimo sarà molto impegnativo perché dovrò sostenere l’esame di maturità in arti grafiche e comunicazione a giugno e a settembre ci saranno i Giochi Paralimpici». Lei cura molto la sua immagine. Lo sport non l’ha trasformata in un maschiaccio... «Nonostante le protesi e le cicatrici dovute agli interventi chirurgici per combattere gli effetti di una malattia ancora decisamente ostinata. La disabilità porta facilmente a trascurarsi, per tanti motivi. Fare sport invece ti fa stare con tanta gente, ti fa viaggiare, ti dà molto entusiasmo e allora è naturale curare il proprio aspetto. Lo sport, poi, insegna anche a mangiare in maniera corretta. E poi ho 18 anni e ho tanta voglia di sperimentare trucchi per il viso, tagli di capelli... Mi diverto un sacco». Il suo libro s’intitola “Mi hanno regalato un sogno”. Qual è il sogno di Bebe Vio? «Il titolo è quello di una canzone molto importante per me, scritta da Jovanotti che ha accettato di firmare la prefazione. Nel libro indico piuttosto una serie di obiettivi. Il sogno? La mia stessa vita, se ci si pensa bene, è già un sogno. Bellissimo».