Quelle grida l’hanno accompagnato lungo migliaia di tornanti. «Coraggio Raymond che è la volta buona», «dai Poupou, il Tour è tuo». E invece no, il traguardo della gloria era sempre qualche metro più in là, impossibile da raggiungere, come se uno scrittore bizzarro si divertisse a trasformare la fiaba in tragedia, cancellando sul più bello il lieto fine. Ma forse è meglio così. Perché Raymond Poulidor, 14 partecipazioni al Tour de France con tre secondi posti e cinque terzi ma mai un giorno in maglia gialla, a suo modo è entrato nel mito. Quello che ha per confini il sorriso e il cuore della gente semplice che certo preferiva il suo stile sgraziato all’altero fascino di Jacques Anquetil, eroe da copertina e quindi biondo, bello e forte. Fortissimo. Come, più tardi, Eddy Merckx, «il cannibale», altro distruttore dei suoi sogni su due ruote. Eppure la Francia, quella popolare ma non solo, amava lui, Raymond, il coraggio con cui aggrediva l’asfalto in salita, il suo accartocciarsi sulla bici quando la strada cominciava a scendere. In 17 anni di onorata carriera, dal 1960 al 1977, mai un fischio e in eredità quel nomignolo, Poupou, che ricorda i peluches e ti accarezza come il suono di un carillon. Raramente la Francia ha coccolato così un suo figlio. Forse solo un’altra volta, accompagnando il viaggio tanto surreale da diventare vero di una piccola squadra di calcio. Perché il Calais Rufc (Racing union football club) è proprio poca cosa se paragonata alle corazzate Monaco, o Bordeaux, o Olympique Lyonnais. Una specie di minuscolo Davide contro tanti, troppi Golia. Eppure quel gruppo di giovani uomini che calciava un pallone per hobby è arrivato a un passo dal sogno. E anche il risveglio, a conti fatti, non è stato tanto male. Capita infatti che alla Coppa di Francia possano partecipare anche le squadre di dilettanti e semiprofessionisti. Il Calais, siamo nella stagione 1999-2000, milita in Cfa, la quarta divisione. Tra i canaris ci sono operai, commercianti, insegnanti, impiegati. Lo stesso allenatore Ladislaz Lozano, uno spagnolo trapiantato nella Francia del Nord, ha un lavoro «vero»: è responsabile degli impianti sportivi della città di Calais. Tutto lascia prevedere che quella giallorossonera sarà una cavalcata breve. Un paio di turni affrontati con dignità e poi tutti a casa. Quell’anno però il vento del Nord ha una fragranza strana, sembra voler esplorare territori nuovi. Lo si capisce subito, dal 10 a 0 inflitto con disarmante facilità al Champagne Les Hesdin. Tutto molto semplice anche contro i dilettanti del Saint Nicolas les Arras, liquidati con un secco 3 a 1 mentre non è senza sofferenze il 2 a 1 imposto al Marly Les Valenciennes. Di misura anche la vittoria sul Bethun, porta d’ingresso all’attesissimo match contro il Dunkerque. Il derby della regione del Nord Passo di Calais è però senza storia, finisce 4 a 0 e iscrive i canaris al tabellone principale della Coppa, con le squadre più forti di Francia. La prima avversaria è il Lille, che milita in B o seconda divisione che dir si voglia, con 5 coppe nel palmarès. 1 a 1 dopo i primi 90 minuti e i supplementari, il Calais firma la sua prima «impresa» ai calci di rigore. Di lì in poi è un crescendo: 3 a 0 nei sedicesimi di finale al Langon Castets e passaggio agli ottavi dove un sorteggio fortunato riserva un’altra squadra di B, il Cannes, superata ancora una volta ai rigori. La Francia comincia ad appassionarsi alla cavalcata del Calais nei quarti di finale che significano Strasburgo, cioè Serie A. Succede l’incredibile: vincendo 2 a 1 i giallorossoneri si trovano spalancate le porte della semifinale. Di fronte, la corazzata Bordeaux. Lo stadio del Calais è troppo piccolo, così si gioca al Felix Bollaert di Lens. Termina 3 a 1 ai supplementari: vuol dire finale, festa in campo e per la strade, autografi, interviste sulle reti nazionali. Mai nessuna squadra semiprofessionistica era arrivata in finale. La piccola Calais spazzata dal vento del Nord sembra impazzita. Ai balconi compaiono le bandiere, per le strade tutti hanno al collo la sciarpa giallorossonera, nelle bocche dei bambini i nomi dei giocatori diventano una filastrocca. Dietro la squadra c’è un’intera comunità che riassapora il gusto di stare insieme. Tutto è speciale in quelle ore. Come la settimana di ferie chiesta e ottenuta dai giocatori per prepararsi meglio alla «partita della vita». Quel 7 maggio 2000 sugli spalti dello Stade de France a Parigi, c’è tutta Calais. Non basterà: come in un romanzo scritto male la ragione prevale sul cuore, la tecnica sull’entusiasmo. Finirà 2 a 1 per il Nantes. In vantaggio con Dutitre, che nella vita fa l’animatore turistico, il Calais è raggiunto da Sibierski.Il fattaccio si consuma a cinque minuti dalla fine quando l’arbitro Colombo assegna un controverso rigore al Nantes. Dal dischetto Caveglia supera Shille, il professore di ginnastica. Al triplice fischio finale in campo il sudore si mescola alle lacrime, le schegge del sogno spezzato disegnano cicatrici sul viso degli atleti. Sugli spalti la gente non sa se piangere o festeggiare perché l’impresa resta, scolpita nei muscoli e nella mente. Al momento della premiazione il capitano del Nantes, Landreau, vuole accanto a sé quello del Calais, Becque. «In questa finale – dice il presidente Chirac – ci sono due vincitori». È proprio così: il Nantes solleva la coppa, i canaris sono entrati nella storia. Da secondi certo, che può essere un altro modo di vincere, quello che non resta negli albi d’oro ma nella fantasia dei semplici. Come «Poupou» Poulidor che ancora oggi al Tour de France distribuisce sorrisi e riceve applausi. È responsabile delle pubbliche relazioni del Crédit Lyonnays, lo sponsor della maglia gialla. Quella che non ha mai indossato. Eppure, se guardi bene, vedi che gli è cucita addosso.