Agorà

STORIA. Baviera, fede e «resistenza»

venerdì 17 luglio 2009
Quando si chiede al teologo Joseph Ratzinger quali siano i suoi modelli la risposta dell’attuale pontefice desta sempre una certa sorpresa. Ancora prima di santi e illustri pensatori della cristianità, per il Papa viene la sua famiglia bavarese. «Non saprei indicare – ha ribadito nella sua autobiografia – una prova della verità della fede più convincente della sincera e schietta umanità che la fede ha fatto maturare nei miei genitori». In realtà, chi conosce la storia della Baviera non se ne meraviglia più di tanto. Gli abitanti del Land tedesco, sono infatti i custodi di una tradizione religiosa granitica come le Alpi che sovrastano il suo territorio. Una regione di paesaggi maestosi, ricca di laghi e foreste, dove è facile incontrare castelli fiabeschi. Scenari misteriosi e selvaggi che hanno ispirato leggende cavalleresche e continue fantasie popolari. Eppure se c’è un elemento ricorrente nelle vicende storiche di questa terra è proprio la genuina spiritualità dei suoi abitanti. Storia della Baviera di Henric L. Wuermeling (Santi Quaranta, pp. 302, euro 15), è un intrigante viaggio nel passato alle origini della singolarità bavarese. Che sia una regione dalle antichi radici bibliche pare confermarlo anche Annolied, la Canzone di Annone, un’opera del XII secolo secondo cui i bavari sono originari dell’Armenia, addirittura i sopravvissuti al diluvio universale sull’Arca di Noè. Un territorio cattolico sin dal tempo dei Romani che beneficiò dell’evangelizzazione monastica dei compagni del santo irlandese Colombano. La Sancta Bavaria non fu scossa nemmeno dalla Riforma di Lutero: i conventi bavaresi avevano già messo in atto un profondo rinnovamento interno. E quando sulla scia di Napoleone un processo di secolarizzazione investì la Baviera, la gente si accorse subito del peggioramento delle proprie condizioni: l’abolizione dei monasteri si rivelò un «fiasco sociale e finanziario» scrive Wuermeling. Non sorprende quindi che anche nelle pagine più amare della propria storia, come l’avvento del nazismo, i bavaresi manifestarono una fierezza indomita a difesa della libertà e dei loro valori. E dire che già durante la prima guerra mondiale, il pittore austriaco disoccupato Adolf Hitler si aggirava per le vie di Monaco, città in cui avrebbe dato vita al suo partito nazionalsocialista. Eppure, dopo il fallito colpo di stato del 1923, nelle elezioni del 1932 la Baviera è la regione che meno di tutte le altre vota per il partito del Führer: soltanto il 18% dei voti contro una media del 37,3 %, tributando la maggioranza assoluta al partito cattolico bavarese. Fu l’ultimo Land a essere conquistato e Hitler, che voleva elevare Monaco a propria città artistica e spirituale, non si diede mai pace. Ma trovò sulla sua strada un’opposizione indomita. Il settimanale della capitale bavarese Der gerade Weg, «La retta via», metteva in guardia i suoi elettori: il movimento nazista era «un segno chiarissimo del crollo spirituale e politico del nostro popolo». La rivista era di proprietà di Fritz Gerlich, giornalista e intellettuale di formazione cattolica, assassinato nel campo di concentramento di Dachau. E altre voci di resistenza si facevano sentire a Monaco: il 5 giugno del 1937, la Gestapo arrestò il gesuita Rupert Mayer, accusato di compromettere la quiete pubblica con le sue prediche e di sobillare il popolo contro il partito. L’arcivescovo di Monaco e Frisinga, il cardinale Michael von Faulhaber, sbottò: «Questo arresto è il segno che la battaglia culturale per la distruzione della Chiesa cattolica è entrata in una nuova fase… S’alzano segnali di fuoco e uno di questi è la cattura del nostro "apostolo di Monaco" (Rupert Mayer, ndr)». E se un altro capitolo della follia nazista prese il via dalla capitale bavarese, la caccia agli ebrei nella tragica «Notte dei cristalli» del 1938, è vero pure che l’anno successivo il rivoluzionario Georg Elser cercò di uccidere il Führer proprio nella birreria Bürgerbräukeller dove si svolse il Putsch di Hitler. Il piano fallì per pochi minuti e anche Elser finì i suoi giorni a Dachau. Instancabile era poi l’attivismo della canonica di St. Georg a Monaco-Bogenhausen, dove il gesuita Alfred Delp animava il gruppo di resistenza «Circolo di Kreisau». Qui si riunivano con il provinciale Augustin Rösch, padre Lothar König, il conte Moltke capo del gruppo, oltre a preti, socialisti e protestanti. Padre Delp conosceva il colonnello Claus von Stauffenberg, l’autore di un altro celebre attentato il 20 luglio 1944, quello nella «Tana del Lupo» nella foresta di Rastenburg. Anche questo tentativo fallì e molti del «Circolo di Kreisau» furono giustiziati, tra essi anche Moltke e Delp. Senza dimenticare che all’università di Monaco era sorto il gruppo di resistenza studentesca della «Rosa Bianca»: Sophie Scholl, suo fratello e altri giovani che incitavano la popolazione con volantini clandestini erano animati non da un’ideologia politica ma solo dal’amore cristiano per l’uomo e la sua libertà. Furono tutti giustiziati dalle SS. Sophie, che aveva solo 21 anni quando fu ghigliottinata aveva scritto prima di morire: «Nonostante l’orrore, avverto qualcosa di grande e inspiegabile nella mia gioia profonda per tutto ciò che è bello: la coscienza del suo creatore. Soltanto l’uomo sa essere davvero ripugnante, perché è dotato del libero arbitrio e può estraniarsi da questo canto di gloria (…). Ma in me si è fatta strada l’idea che non ce la farà. Voglio provare a schierarmi dalla parte di colui che vincerà».