Agorà

INTERVISTA. Battiato: «Tra Italia e Cina canto i mali del potere»

Massimo Iondini sabato 14 novembre 2009
«Il nuovo Povera Patria? Non li accosterei troppo. Lì c’era il dolore, in Inneres Auge c’è l’arrabbiatura». È indignato Franco Battiato, al punto da scuotersi da quella sorta di nobile distanza dalle più comuni e banali passioni umane e da sparare bordate come mai in passato. Lo fa nel brano Inneres Auge (l’occhio interiore, in tedesco), uno dei tre inediti, che dà il titolo al nuovo album, da ieri nei negozi, in cui interpreta L’inverno di De André e rivisita alcuni vecchi brani come Haiku, L’incantesimo e Stage door, «che considero superiori ad altri che hanno avuto successo». «Uno dice che male c’è a organizzare feste private con delle belle ragazze per allietare Primari e Servitori dello Stato?» canta l’artista siciliano in Inneres AugeBattiato, un’invettiva durissima che non lascia dubbi sui destinatari... «Avevo già voglia di fare un pezzo così l’anno scorso, ma ho aspettato. Poi dopo gli ultimi fatti estivi ho sentito la necessità di prendere posizione. Non ne posso più di come si gestisce il potere ai livelli più alti: socialmente e umanamente è una enorme sconfitta».Ma a parte le feste e le belle ragazze, cos’è che la fa arrabbiare a tal punto?«È che questa società è totalmente nelle mani del denaro, ne è prigioniera. Così i valori morali e la giustizia sociale vengono calpestati impunemente trascinando l’uomo in una tragica spirale». Altro che «Il re del mondo» di trent’anni fa, al suo esordio nel pop?«Sì, non è più il maligno in senso ampio il re del mondo. È proprio la moneta, in sé, il vero totem di oggi. Trent’anni fa c’era ancora l’ideologia e il denaro era per molti un mezzo. Oggi invece è l’unico fine. E penso che anche la vicenda dell’influenza A sia uno sporco affare, mondiale». Ma lei crede davvero che una canzone possa cambiare qualcosa?«Se si usa il metro della quantità e non della qualità, questo ragionamento non ha senso: quando fai un concerto non puoi pretendere che tutti siano d’accordo e in sintonia con te. Ma se in una sala anche solo dieci-venti persone riescono a essere toccate, è fatta. Con una canzone non ribalti la politica, però puoi far passare dall’altra parte gli indecisi».C’è un altro pezzo duro nel nuovo cd, «Tibet», cantato in inglese, contro il dominio cinese. Per questo è saltato il concerto che doveva tenere in Cina?«Il sospetto può venire, ma diciamo che c’è stata più che altro una sovrapposizione di date. Avrei dovuto esibirmi in Cina a ottobre, ma il concerto è tramontato perché coincideva con quelli negli Stati Uniti. Chissà, forse ci andrò l’anno prossimo».Insomma, ha preferito l’Occidente al suo amato Oriente?«Mettiamola così. Stavolta sono andato verso l’America. Ma rimane il mio piccolo contributo alla causa della libertà in Tibet. Una canzone che per una settimana è stata messa anche su YouTube».Nell’altro inedito, «’U cuntu», in siciliano e latino, pare invece mettere all’indice il dilagare del sesso.«Attacco la bassa sessualità, indegna dell’essere umano. Una trappola in cui si sprofonda. È un brano in cui esprimo una profonda angoscia sull’oggi. Ma non sono pessimista, sono solo realista».