Storia. Battaglie e carità, zuavi in prima linea
Due zuavi olandesi
«Cari amici, Elemosiniere generale e membri dell’associazione Pro Petri Sede, sono felice di accogliervi di nuovo durante il vostro pellegrinaggio a Roma, proprio all’inizio del periodo quaresimale, in cui portate ancora una volta la testimonianza della solidarietà e della carità che animarono il cuore dei vostri predecessori, i quali non esitarono a donare la loro vita per la Chiesa. Come allora siete adesso accanto a me con grande generosità nei confronti delle persone sole, bisognose, indifese di tutto il mondo. Per questo, cari amici, fratelli e sorelle, vi ringrazio per la vostra fedeltà al mio ministero di successore di San Pietro». Questo il riassunto del discorso che il 24 febbraio scorso papa Francesco ha tenuto ad alcuni rappresentanti della Pro Petri Sede, ricevuti in Vaticano nella splendida Sala Clementina. Essa fu costruita nel XVI secolo per volontà di papa Clemente VIII in onore di papa Clemente I, terzo successore di San Pietro, ed è ricoperta da affreschi rinascimentali di immensa bellezza. È usata dal Pontefice per le udienze private a delegazioni di particolare importanza, come il corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede, il collegio dei cardinali, le varie conferenze episcopali. Inoltre, dopo la morte di un Papa, è la sala dove vengono esposte le sue spoglie affinché la corte papale e le delegazioni straniere possano rendergli omaggio prima della traslazione nella Basilica di San Pietro. Ma a chi e a che cosa si riferiva papa Francesco citando i predecessori della Pro Petri Sede, i quali offrirono la loro vita per la Chiesa? Voleva sottolineare le origini di questa congregazione di volontari cattolici, tra cui francesi, belgi, lussemburghesi e soprattutto olandesi, che alla fine del 1860 partirono alla volta di Roma per difendere Papa Pio IX in caso di attacchi militari del Regno d’Italia che voleva completare l’unità. Si chiamavano zuavi. Erano giovani di umili origini, spesso contadine, animati da una gran fede ed un forte senso del dovere. Fra le loro imprese degne di essere ricordate quella dell’estate 1867, quando furono chiamati a soccorrere la popolazione del Lazio meridionale colpita gravemente dal colera. Giunti ad Albano, 42 zuavi comandanti dal sergente Serio, napoletano, trovarono il paese in situazioni drammatiche: nella piazza principale erano ammucchiati cadaveri in stato di decomposizione, in quanto gli abitanti avevano paura di contrarre il morbo dando loro sepoltura. Per tutto il giorno e tutta la notte furono gli zuavi ad inumare le salme abbandonate per strada. Alcuni perirono per essere stati contagiati dal morbo. A fine settembre i garibaldini tentarono l’invasione dello Stato pontificio, cercando di provocare l’insurrezione cittadina. Mentre i soldati combattevano sui campi di battaglia, un gruppo di loro fiancheggiatori mise in atto un attentato allo scopo di suscitare una sollevazione in città. Il 22 ottobre fu fatta scoppiare una bomba alla caserma Serristori, sita nel rione Borgo; persero la vita 23 degli zuavi là acquartierati, oltre a quattro civili. Tuttavia la sollevazione popolare non scattò come sperato, grazie anche a decise azioni di polizia, coadiuvate dagli stessi zuavi. Dopo la battaglia di Mentana, il 6 novembre le milizie francopontificie vittoriose sfilarono per Roma e furono accolte dal popolo al grido «Viva Pio IX, viva la Francia, viva gli zuavi, viva la religione!». In seguito alla guerra franco- prussiana del 1870 le truppe francesi si ritirarono da Roma. L’esercito italiano, al comando del generale Raffaele Cadorna, ne approfittò per invadere lo Stato pontificio, la cui armata in quel momento era composta da 13mila combattenti, fra cui 3mila zuavi. Ma ai primi colpi di cannone, in cui morirono 11 zuavi, il 20 settembre, il Papa chiese al generale Kanzler di cessare il fuoco. Il loro reggimento fu sciolto l’indomani. Prima di rientrare in patria si riunirono in piazza San Pietro per salutare Pio IX. Ecco uno stralcio del racconto dello zuavo irlandese O’Clery: «Quando tutti i soldati furono schierati, rivolti verso il Vaticano e pronti a partire, il colonnello Allet fece un passo avanti e, con la voce rotta dall’emozione, gridò: “ Mes enfants! Vive Pie Neuf!”. Un poderoso evviva proruppe dalla truppa. Proprio in quel momento il Papa apparve al balcone, e, levando le mani al cielo, pregò: “Che Iddio benedica i miei figli fedeli! “ L’entusiasmo di quel momento supremo fu indescrivibile, commovente. Al pensiero di lasciare il Santo Padre, lacrime di amarissimo rimpianto solcarono le guance di quegli uomini, che avevano sfidato la morte in tante disperate battaglie. Le trombe diedero l’ordine di avanzare e, nel muoversi, la testa della colonna lanciò un’ultima triste acclamazione di “ Viva Pio IX!” che, riecheggiata fila dopo fila, fu ripetuta da tutto l’esercito e dalla folla radunatasi per assistere alla partenza ». Tornati nelle loro terre, gli zuavi dei Paesi Bassi, Belgio e Lussemburgo continuarono la loro missione di sostegno per le opere di beneficenza dei successori di San Pietro. Seguendo il loro esempio, 150 anni fa è nata la Pro Petri Sede, che attualmente annovera 1.200 associati. Il suo scopo principale è quello di raccogliere sostanziose offerte che vengono consegnate al Pontefice ogni due anni. Tale somma viene destinata a varie iniziative, fra cui il soccorso alle persone colpite da catastrofi naturali, come avvenne nell’alluvione in Pakistan, oppure durante l’epidemia virale causata dal Corona (con l’acquisto di respiratori); ora per aiuti alla Turchia, Siria ed Ucraina. Papa Francesco ha abbracciato con affetto lo “storico” padre spirituale, reverendo Dirk van Kerchove, da anni attivo nella raccolta di fondi (e organizzazione dei pellegrinaggi), insieme alla dirigenza della Pro Petri Sede e ai suoi membri: un gruppo unito, sostenuto da tanta fede e amore fraterno.