Teologia. Bassetti: «Nuovi portatori di pace e giustizia nel Mediterraneo»
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Anticipiamo alcuni stralci della lectio magistralis che oggi, ad Agrigento, il cardinale Gualtiero Bassetti terrà nella Sala Zeus del Museo Archeologico in occasione del “Premio Internazionale Empedocle” in memoria di Paolo Borsellino, a lui conferito dall’Accademia di Studi Mediterranei.
Il Mediterraneo non è un luogo geografico ma, essenzialmente, un luogo dell’anima. Il Mediterraneo è, al tempo stesso, la culla della Chiesa e della civiltà cristiana, nonché il punto d’incontro della “triplice famiglia di Abramo”, ovvero delle 3 religioni monoteiste: ebraismo, cristianesimo e islamismo. Il Mediterraneo è dunque un cuore pulsante di storia e cultura, fedi e tradizioni: è un coacervo di modernità dai tratti antichi. Riflettere su questo luogo dell’anima ci permette di comprendere, da un lato, le correnti che si muovono nel profondo della nostra storia e, dall’altro lato, le increspature del presente. In definitiva, non si tratta di compiere un’analisi geopolitica, ma di svolgere una riflessione sulla persona umana in questo complesso e tribolato “passaggio d’epoca”.
Per questi motivi, la Chiesa ha bisogno di una “teologia del Mediterraneo” che non nasca in laboratori asettici, ma abiti e interpreti le frontiere, si nutra del “fiuto del popolo di Dio” e lo faccia crescere. La teologia nasce infatti nella vita della Chiesa e nelle sfide che essa affronta per amore del Vangelo. Il rigore scientifico è organico a un imprescindibile e antecedente momento che coinvolge tutti i battezzati nel tessuto vivo della chiesa. La teologia sente cum ecclesia perché nasce in una Chiesa di popolo da cui riceve il Vangelo: un popolo – gerarchicamente ordinato, ma non gerarchicamente appiattito – che trasmette e ricomprende il Vangelo nei contesti nei quali vive.
Indubbiamente, la Sicilia, per storia, collocazione geografica, per le contingenze presenti, è una frontiera che, per la testimonianza dei suoi santi, è abitata da una Chiesa profetica. Sono lieto, qui, in questo luogo, di ringraziare per la memoria e la testimonianza di Giorgio La Pira. Nato a Pozzallo, cresciuto in Sicilia e abituato da sempre a contemplare il mar Mediterraneo, La Pira elabora un’immagine – la cosiddetta «storiografia del profondo» – che svilupperà lungo tutta la sua vita: «Sotto le tempeste della superficie, temibili per le singole barche – scrive Piersandro Vanzan – le immote profondità marine incanalano, senza deviazione possibile, correnti impetuose e sorreggono immobili l’alternarsi delle maree». La «storiografia del profondo» evoca, dunque, l’idea di una storia «messianica» con cui egli descrive «il movimento teleologico della storia sotto la ferma e immutabile guida di Dio e il soffio trasformatore dello Spirito».
La teologia del Mediterraneo e la storiografia del profondo rappresentano, pertanto, due poli semantici che necessitano di essere sviluppati e studiati insieme. Perché se messi adeguatamente in relazione, se approfonditi in modo serio ed autorevole, possono portare molto frutto al mondo contemporaneo. Soprattutto per ciò che riguarda la costruzione di una cultura del dialogo e della pace. Mai come oggi la pace rappresenta un bene così prezioso che viene oltraggiato dai fuochi delle guerre. La guerra in Ucraina e quella in Palestina hanno il Mediterraneo come sfondo e l’Europa come cornice. Il mare è solcato da minacciose navi militari e da profughi disperati; il continente è segnato da sangue e violenza.
Dopo 70 anni dalla fine della seconda guerra mondiale ritornano vecchi fantasmi ad agitare le nostre vite. Tornano sempre alla mente le parole del papa di qualche anno fa quando parlò di “terza guerra mondiale a pezzi”. Sembra impossibile che tutto ciò stia avvenendo nella vecchia Europa, in quel continente che alla fine della seconda gu erra mondiale era rinata dalle ceneri della sua autodistruzione ed aveva proclamato i diritti inviolabili della persona. Se diamo uno sguardo profondo, di fede, a quello che è successo ci accorgiamo che dalle ferite dei totalitarismi e della seconda guerra mondiale siamo guariti grazie a coloro che hanno saputo dare la vita. La storia va avanti grazie a coloro che donano la vita, non a quelli che la distruggono.
La nostra Europa non può permettersi di ammalarsi di nuovo! Deve, invece guarire da quelle nuove malattie che la invecchiano e la privano di speranza, di attesa, di capacità di far spazio alle giovani generazioni. La nostra Europa non può più permettersi di procedere in ordine sparso nello scenario internazionale. Deve, con unità di intenti, di interessi e di valori, cogliere le sfide epocali del mondo, che – volenti o nolenti – è un’unica famiglia di popoli, in cui l’ingiustizia subita dall’uno ha conseguenze, presto o tardi, nella vita interna dell’altro.
Cari amici e care amiche siciliani, nella vostra storia è scritta la consapevolezza che non c’è Europa senza Mediterraneo e non c’è Mediterraneo senza Europa. Non ci potrà mai essere un’Europa stabilmente in pace, senza pace nel Mediterraneo: le guerre in Ucraina e in Terra Santa, con tutte le loro implicazioni, stanno lì – purtroppo – a dimostrarlo. Giorgio La Pira parlava del grande lago di Tiberiade e della casa comune europea, esse sono, appunto, realtà che si reggono o cadono insieme. La casa comune europea è – nel pensiero di La Pira – più grande della attuale Unione Europea, è una realtà sinergica, che va dall’Atlantico agli Urali, nella quale il cristianesimo ha affondato le sue radici, ha plasmato le società e respira – come diceva san Giovanni Paolo II – con due polmoni, nonostante le divisioni che permangono e che purtroppo talvolta si aggiungono.
Credo che la presa di coscienza della comune responsabilità dei cristiani europei (dall’Atlantico agli Urali, ma anche da nord a sud) nei confronti della pace, della giustizia e della riconciliazione fra i popoli sia una premessa necessaria per la stabilizzazione dell’area mediterranea e mediorientale, quindi per la prosperità e la pace di tutte le nazioni. Un orizzonte, che non siamo soli a sognare perché è anche il sogno di Dio: la promessa e la prospettiva del suo Regno verso cui il cristiano non smette di camminare: Beati gli operatori di pace perché saranno chiamati figli di Dio!