Re e regine, papi e vescovi ma anche poeti e letterati, musicisti, cavalieri e persino briganti si sono addentrati, nei secoli, tra le ripide pendici di un vulcano spento, il monte Vulture, a nord della Basilicata. Lo hanno fatto per mille ragioni. Ma tutti si sono lasciati rapire dalle misteriose atmosfere e dal fascino arcano di boschi millenari. Dalle distese di faggi e di cerri, di castagni, di aceri e lecci e poi di laghetti e corsi d’acqua che, quasi con pudore, così come è nel carattere dei lucani, degradano verso terreni resi fertilissimi da colate laviche preistoriche e sui quali, introdotti dall’odore della terra bagnata e dal fumo della legna bruciata, come una grande e ordinata parata, si distendono vigneti pregiati. Sono questi vigneti che, grazie a condizioni climatiche irripetibili, a un sottosuolo spesso tufaceo e bagnato da corsi d’acqua, danno vita a un grande rosso, pieno e severo: l’Aglianico. Il cui primo cantore e sponsor, 2000 anni fa, fu il poeta latino Quinto Orazio Flacco, nato proprio da queste parti, a Venosa. Non è raro, soprattutto in questo periodo, farsene servire in generosi calici da sposare alle carni di bovini podolici e assaporarlo nei cortili di antiche fortezze o nelle piazze dei numerosi borghi medievali, da queste parti intatti. Qui, nei centri del Vulture, in estate rivivono usi e costumi medievali. È quel che avviene negli splendidi castelli che Federico II di Svevia volle abitare, nel XIII secolo, ammaliato da paesaggi che ben si prestavano alla passione per la caccia e alla sua amata arte della falconeria alla quale dedicò il trattato
De arte venandi cum avibus. A tutt’oggi i rapaci sorvolano i cieli del Vulture, quasi gelosi degli antichi manieri, tra i quali spiccano quelli di Lagopesole (in territorio di Avigliano), di Palazzo San Gervasio e di Melfi. Ma anche dei fortilizi, oggi ristrutturati, e delle estese masserie regie. Costruito in epoca normanna ma fatto ampliare dal "sacro romano imperatore", il castello di Melfi fu teatro, nel 1231, della promulgazione delle famose
Constitutiones Augustales, passate alla storia come Costituzioni melfitane, un simbolo del nuovo concetto di Stato moderno, una grande riforma ispirata al diritto giustinianeo che riorganizzò i diritti feudali riconoscendo anche alle donne la successione ereditaria. Quando Federico emanò le Costituzioni, Melfi era già da un secolo e mezzo capitale del ducato di Puglia. Del resto, la posizione geografica della città, a metà strada tra la Puglia dominata dai Greci-Bizantini e i territori di Benevento e Salerno dominati dai Longobardi, era infatti considerata strategica già prima delle dominazioni normanna e sveva. Oggi le sale del castello, un tempo utilizzate dall’imperatore, ospitano il Museo archeologico nazionale del Melfese. Una delle tante perle della città, dominata dal campanile di una cattedrale risalente al 1056 la cui imponenza – pari a quella dell’annesso episcopio – rivela l’importanza che Melfi ebbe anche in campo ecclesiale. Qui, dal 1059 al 1284, furono tenuti ben sei concili papali, dei quali il più importante fu il terzo, indetto da Urbano II nel 1089, che dettò norme di diritto canonico di grande importanza per i secoli successivi. In quello stesso concilio il Papa emanò la
tregua Dei, la «pace di Dio» – che concedeva protezione alla popolazione inerme e la rinuncia alle armi durante i giorni santi – e concepì la prima crociata, poi bandita in Francia nel Concilio di Clermont-Ferrand. Il sesto Concilio fu tenuto nella cattedrale di Melfi nel 1284, fu presieduto dal cardinale Gerardo di Parma: si occupò, tra l’altro, dei rapporti con la Chiesa greca. Alcune testimonianze di questa storia straordinaria troveranno spazio nel ricco Museo diocesano, tra i più interessanti non solo a livello regionale, ospitato nell’abbazia benedettina di San Michele Arcangelo (XI secolo) che si specchia su uno dei due laghi di Monticchio (tra i comuni di Atella e Rionero in Vulture). Il museo sarà inaugurato il prossimo 6 luglio dal presidente della Cei cardinale Angelo Bagnasco. In 30 minuti da Melfi si raggiunge Venosa, inserita tra i borghi più belli d’Italia, che ha mantenuto molte testimonianze di una storia gloriosa iniziata nel 291 a. C. Meritano una sosta il parco archeologico con terme,
domus, anfiteatro, il complesso residenziale ed episcopale, così come l’abbazia della Trinità, mirabile testimonianza architettonica paleocristiana con i preziosi affreschi e le spoglie di Roberto il Guiscardo; sempre nell’antica "Venusia", che oltre a Orazio (la cui abitazione è visitabile) ha dato i natali al madrigalista e musicista principe Carlo Gesualdo (1566 - 1613), sorgono le catacombe cristiane ed ebraiche e il grande castello Pirro del Balzo eretto nel XV secolo. Di grande suggestione e anch’essa inserita tra i borghi più belli del Belpaese, è Acerenza, a sud della zona del Vulture Melfese, dominata dalla cattedrale dell’XI secolo e sede episcopale tra le più antiche del Sud. Il duomo, riaperto venerdì scorso dopo lavori di restauro, ricalca, sull’idea dell’arcivescovo Arnaldo che lo consacrò nel 1080, il progetto architettonico dell’abbazia francese di Cluny (X secolo), della quale lo stesso Arnaldo fu abate. Il tempio, semplice eppur maestoso, continua ad essere memoria storica "viva" del territorio.