Ecologia. Barrau: «Il consumismo è una rovina ambientale»
L'astrofisico francese Aurélien Barrau
«È un grido di disperazione e forse un grido di razionalità, perché trovo che ci comportiamo oggi in modo molto irrazionale». Il libro manifesto Ora. La più grande sfida dell’umanità, appena tradotto per i tipi di Add editore dopo aver riscosso un vasto consenso in Francia, viene descritto così dal suo autore, Aurélien Barrau, 46 anni, astrofisico specializzato nella relatività generale e nei buchi neri, docente a Grenoble. Uno scienziato divenuto una voce originale e ascoltata nel dibattito transalpino sulla crisi ecologica. L’opera ha preso la scia di un appello lanciato da Barrau con l’attrice Juliette Binoche, pubblicato su “Le Monde” nel 2018 e firmato da 200 personalità francesi e internazionali.
A livello ecologico, siamo tutti un po’ usciti di senno?
Un essere vivente che nega il senso stesso della vita, la sua perennità, non è di certo moderno o visionario, ma avvitato in un’irrazionalità transitoria. La serietà è all’opposto di dove troppo spesso la crediamo. Chi vuole sviluppare a ogni costo un’ipercrescita tecnologica ha il diritto di esprimere questo parere. Ma al contempo, occorre rendersi conto che non si tratta di persone serie. Gli economisti che promettono una crescita infinita non sono persone serie. Contraddicono le leggi della fisica e della biologia, ovvero la capacità di riproduzione e perennità delle specie. Queste persone somigliano a monelli che distruggono i propri giocattoli senza capirlo.
Il fatto che il suo appello abbia avuto firmatari prestigiosi non mostra che qualcosa sta cambiando?
È vero che cresce la sensibilizzazione, se pensiamo allo scarso spazio dato all’ecologia ancora qualche anno fa. Ma il paradosso è che ogni anno è peggio del precedente, senza un cambiamento fondamentale nei fatti. Non riusciamo a passare dalla constatazione all’azione.
Nella dedica del libro a quanti «patiscono la nostra sconsideratezza », lei evoca la vergogna. Vergognarsi di più sarebbe salutare?
Quando vengono accusati, i nostri politici replicano spesso dicendo che si 'assumono' le loro responsabilità. I potenti tendono oggi a non vergognarsi più. La verità è che tutti ci siamo sbagliati nel nostro modo di abitare la Terra. Io stesso, certo, non considerandomi esemplare. Ci siamo convinti che la crescita eterna era possibile in un mondo finito. Abbiamo dimenticato che il nostro stile di vita ha conseguenze drammatiche sull’ecosistema e sui Paesi poveri. Siamo tutti colpevoli e dobbiamo dirlo. Il 60% degli animali selvatici e il 70% degli insetti sono già scomparsi. Davanti a queste cifre, sì, provo vergogna.
Curioso che l’invito a tornare con i piedi per terra giunga da uno studioso del cosmo, non crede?
Comprendere il mondo e il cosmo resta essenziale e legittimo. Ma il desiderio di conquista spaziale è divenuto ormai un punto drammatico. I piani di certi miliardari che puntano verso lo spazio mi rendono furioso. Stiamo distruggendo questo gioiello che è il nostro pianeta e al contempo inseguiamo mondi inesistenti. Nel Sistema solare, non ci sono altri luoghi abitabili. È del tutto irrazionale. All’epoca, le missioni Apollo ebbero un senso e una certa bellezza, con ingredienti come umiltà, pericolo, avventura, esplorazione, autenticità. Una certa onestà, insomma. I primi passi sulla Luna furono commoventi. Ma i progetti spaziali odierni sono spesso ridicoli, anche perché il loro interesse scientifico è molto scarso. Penso in particolare al miliardario Elon Musk, che si prepara a distruggere il cielo, dato che i suoi satelliti avranno conseguenze drammatiche per gli astronomi. Inoltre, i suoi progetti alimenteranno un iperconsumo energetico e d’informazione, cioè proprio quello che ci sta uccidendo. È un altro versante della nostra follia consumistica. Oggi, gli eroi non sono più gli astronauti, ma gli indigeni d’Amazzonia che si battono per sopravvivere e per salvare il pianeta.
Come cambiare rotta?
Invocando argomenti razionali, s’influisce poco sui comportamenti. Occorrerebbe agire di più sul piano simbolico. Ad esempio, guidare un veicolo ad alto consumo come un Suv resta per molti uno status symbol. Ma se cambiassimo ottica? Se lo status symbol divenisse un simbolo d’irresponsabilità ambientale e di scarsa intelligenza rispetto al mondo in cui viviamo? Se l’idea di crescita prendesse il suo senso reale di predazione suicidaria? Forse rifletteremmo prima del prossimo acquisto, anche perché agiamo spesso per essere amati.
Lei denuncia la "religione della tecno-crescita". Cosa intende?
Nessuno vuol tornare all’età della pietra, è chiaro. Lo sviluppo tecnico è benvenuto, se parliamo di progressi medici o di un livello accettabile di comfort. Ma il problema è il voler sempre di più. Ad esempio, non sono contro il cellulare, ma aborro la 5G. Non sappiamo a cosa servirà e non ne abbiamo bisogno. Sappiamo al contrario che è una tecnologia problematica, non solo sul piano ambientale e sociale. Eppure ci lanciamo, perché aderiamo al dogma dell’ancora di più. Il problema non è la tecnica, ma la tecno-crescita, cioè la tecnica portata al parossismo.
Un noto ambientalista francese, il fotografo Yann Arthus-Bertrand chiede una «rivoluzione spirituale». Un aspetto che lei invece non evoca…
Conosco bene Yann Arthus-Bertrand e abbiamo aderito a progetti comuni. Sinceramente, credo che oggi occorra tentare di tutto. Nessuno ha soluzioni chiavi in mano. Non appartengo agli ecologisti che danno tutta la colpa al capitalismo. Il problema è in realtà multifattoriale. La rivoluzione dev’essere multipla. Ho in effetti affrontato poco la dimensione spirituale, ma trovo giustissimo che quest’idea sia evocata. Lungo la loro storia, certe religioni, come l’islam o il cattolicesimo, hanno conosciuto il divieto di far fruttificare il denaro. È un punto di vista molto interessante. Anzi, ne avremmo bisogno, anche se ciò non risolverebbe tutti i problemi. Dobbiamo essere creativi ed esplorare tutte le piste possibili, proprio come sanno fare i veri poeti, che non sono mai rivoluzionari per puro diletto, ma sempre per necessità.