Per un attimo mette da parte Wagner e il
Lohengrin che il 7 dicembre (Anteprima per gli under 30 il 4) inaugurerà la nuova stagione del Teatro alla Scala. Perché quello che più gli sta a cuore è parlare della giornata di oggi, che definisce «cruciale per il futuro dell’umanità». Per Daniel Barenboim il voto di oggi alle Nazioni Unite per ammettere la Palestina tra gli stati osservatori «è l’ultima opportunità per il mondo di trovare una soluzione alla questione Mediorientale». Soluzione che per lui, nato nel 1942 in Argentina da famiglia ebrea e oggi in possesso del doppio passaporto israeliano e palestinese, è solo una quella dei «due Stati. La stessa soluzione votata il 29 novembre del 1947, ma poi disattesa. Dopo guerre e morti non accettarla sarebbe inumano e stupido». Il direttore d’orchestra parla all’Università Cattolica di Milano, ateneo che per il quinto anno ha deciso di sostenere con una borsa di studio un musicista della West Eastern Divan orchestra. Si dice sicuro che «all’Onu la quantità ci sarà. Ma la vera sfida è di farla diventare di qualità: tutto il mondo ha capito che occorre rinforzare l’autorità palestinese. Non gli Stati Uniti, che voteranno contro. E mi dispiace – aggiunge – che Italia e Germania, le nazioni dove vivo e lavoro, vacillino».Poi tocca a Wagner. Barenboim, che tiene la gamba sollevata su uno sgabello «perché qualche settimana fa sono scivolato e mi fa ancora male», liquida subito la polemica sul fatto che la Scala, nell’anno del doppio bicentenario della nascita di Verdi e Wagner, apra con un’opera del tedesco. Polemica che bolla come «stupida» senza andare troppo per il sottile. Poi auspica: «Cessi al più presto e non venga usata per aspetti pubblicitari non necessari». E spiega che «una giusta difesa delle proprie radici rischia di trasformarsi in fascismo culturale nel momento in cui si dice che solo un italiano può capire Verdi, tra l’altro a me resterebbe solo il tango!, e che la nostra cultura è superiore alle altre. In Germania nel 1920 – conclude sinistro – tutto è iniziato così».Musica senza confini, dunque, tanto che, ricorda Barenboim «
Lohengrin ha profonde influenze italiane e il compositore voleva cantanti con legato e declamato italiano ». E se ritiene la partitura «la meno armonicamente interessante tra quelle di Wagner, quattro ore in quattro quarti e in la maggiore» spiega anche che è quella con «le melodie più orecchiabili». Sulla storia dell’opera, sul fatto che Elsa deve amare Lohengrin senza chiedergli la sua identità, Barenboim scherza: «Anche James Bond non dice mai chi è alle donne che si innamorano di lui. In questo è molto wagneriano». Poi si fa serio, parla della fragilità dell’eroe e riflette sul fatto che «nei secoli dopo le guerre, l’Olocausto, dopo il Rwanda sembra che anche Dio sia più fragile». Spiega che cercherà di raccontarlo in musica perché «se per molti la musica è solo svago, fuga dalla realtà, per me è uno dei canali privilegiati per imparare qualcosa sulla vita e sull’uomo».