Una scena del film "Barbie" di Greta Gerwig, record di incassi nelle sale italiane dove è uscito giovedì 20 luglio
Che sarebbe diventato un fenomeno globale di costume era chiaro sin dall’annuncio del progetto. Non può essere altrimenti quando porti sullo schermo una delle icone pop più celebrate degli ultimi decenni, entrata dagli anni Sessanta in poi nelle case di tutto il mondo, gioia per milioni di bambine, ossessione per schiere di collezionisti disposti a sborsare qualunque cifra per accaparrarsi un pezzo raro. E infatti pure i botteghini italiani si colorano di rosa festeggiando i 2.1 milioni di euro di Barbie in un solo giorno. Distribuito da Warner in 600 sale, il film diretto dall’americana Greta Gerwig sta chiamando a raccolta folle di spettatori eterogenei, grandi e piccoli, curiosi di vedere la prima storia di Barbie in versione live action, interpretata da un’attrice che più in parte non si può, Margot Robbie, la vera artefice del progetto. È stata lei infatti a coinvolgere la regista, è stata lei a convincere la Mattel del successo di questa impresa mai tentata prima e a scegliere Ryan Gosling nei panni di Ken.Tra pink carpet e palloncini, dress code rigorosamente rosa, gadget e la possibilità di fare parte di un sogno grazie al Barbie Self Generator, ci si sono messi anche gli influencer, membri attivi della colossale campagna pubblicitaria, contattati per promuovere attraverso i propri social un film che non hanno esitato a definire un capolavoro assoluto da non perdere per nessuna ragione al mondo. Avete provato a digitare il nome di Barbie su Google? Tutto lo schermo si colorerà di rosa, con titoli in fucsia e tripudio di stelline in tono.Riportare il pubblico in sala è una priorità assoluta e quella del botto fatto da Barbie in sala è una splendida notizia, soprattutto perché il successo di una uscita estiva è un altro grande traguardo raggiunto. Le campagne promozionali hanno d’altra parte cambiato forma e strategia, e qualunque spettatore abbia un account su uno o più social è destinato a diventare, anche suo malgrado, testimonial di prodotti, che siano essi magliette, scarpe o film. L’importante però è non rinunciare al discorso critico su un film lasciandosi contagiare dall’entusiasmo di una serata a inviti. Perché spesso è proprio una recensione positiva, e non certo il red carpet, a mandare qualche spettatore in più nelle sale. Se il film della Gerwig ha il grande merito di ricostruire in maniera straordinaria Barbieland e di giocare con il mito della perfezione raccontandoci una Barbie in crisi, ossessionata da pensieri di morte, piedi piatti e cellulite, alle prese con un Ken che dopo anni di umiliazioni scopre i vantaggi del patriarcato, non si può essere altrettanto entusiasti di una sceneggiatura che la regista ha scritto
con il compagno Noah Baumbach, uno dei nomi di spicco del cinema indipendente americano. Barbie non fa l’errore di celebrare Mattel (che co-produce) esaltando ad esempio la “linea diversity”, e quindi la strategia di inclusione messa in campo dall’azienda poco meno di dieci anni fa con la produzione di bambole dalla fisicità assai diversa.
E non tradisce un sogno infantile, perché quella di Barbie non è una favola, bensì tante favole quante sono le bambine che giocano con lei. Il tallone di Achille del film è quello di aver costruito intorno alla celebre bambola una storia eccessivamente verbosa nel suo sviluppo (con soluzioni narrative a volte deludenti) come se si trattasse, appunto, di uno di quei film indie americani in cui un uomo e una donna si massacrano a vicenda parlando fino allo sfinimento della propria crisi di coppia. Una scelta che non giova al ritmo del film, spesso arenato tra dialoghi che spiegano troppo e smarriscono la necessaria e magica leggerezza del racconto.