Arte. Barbara Jatta: «L’anima dei Musei Vaticani? È moderna»
La Sala Marescalcia con le opere di Henri Matisse
Il 23 giugno 1973 Paolo VI inaugurava insieme agli artisti la Collezione di arte moderna dei Musei Vaticani. Uno sforzo enorme, condotto per recuperare un gap storico e culturale importante, e una data che non segna un punto di arrivo ma un nuovo inizio. Mezzo secolo dopo «dal migliaio di opere iniziali siamo arrivati a poco meno di 10mila pezzi, di ogni tipologia possibile. La più giovane delle nostre collezioni è un segno della lungimiranza di san Paolo VI», commenta Barbara Jatta, direttore dei Musei Vaticani, orgogliosa nel presentare i festeggiamenti per questo compleanno, che comprendono due mostre e un volume. E una udienza che proprio questa mattina nella Cappella Sistina vede incontrare papa Francesco e duecento artisti da tutto il mondo, a rinsaldare un’amicizia sempre più ritrovata.
Cosa significa per un museo che spesso è identificato soprattutto con un momento preciso della storia dell’arte, festeggiare e quindi ripensare i 50 anni di una collezione di arte moderna?
«Io sono convinta che i Musei Vaticani siano un insieme di musei e che quindi non necessariamente debbano essere identificati con la Cappella Sistina, le Stanze di Raffaello o la raccolta di antichità. Per questo abbiamo voluto con forza celebrare questo anniversario. Quell’intuizione di Paolo VI dell’artista come profeta e poeta, ripresa poi da Giovanni Paolo II e Benedetto XVI è un filo rosso che da 50 anni arriva al pontificato di Francesco».
Il discorso di Paolo VI del 1973 ha passaggi molto significativi sull’approccio dell’arte contemporanea all’uomo e in particolare al sacro. Quanto la presenza di questa raccolta invita a leggere in modo nuovo il resto delle collezioni?
«Le mostra fotografica, con le trasformazioni avvenute in questo mezzo secolo, rende conto della consapevole partecipazione dell’arte contemporanea alla vita dei Musei Vaticani, ma soprattutto della sua indispensabile esistenza all’interno del nostro dispositivo museale, come chiave per “stare dentro” al nostro tempo, come lente per leggerlo, come logos per interpretarlo, nel solco ancora vivo del pensiero di Montini. La mostra diffusa invece porta in ognuno dei musei del papa un’opera di artisti contemporanei, da Paladino a Ruffo, da Fleischer a Gioli, da Strazza a El Anatsui, in dialogo con le opere delle collezioni di altro genere. Un dialogo proficuo fertilissimo, in cui noi crediamo. Quasi tutte queste opere hanno un rapporto con il sacro e lo spirituale, al di là del linguaggio con cui sono state realizzate. Gran parte sono legate al cristianesimo, tutte partono da una forte spiritualità. La creatività artistica è sempre spirituale. La Chiesa ha bisogno di profeti e poeti, di chi sa rappresentare l’invisibile nel visibile, nelle forme più diverse».
Come si svilupperà la presenza dell’arte contemporanea nei Musei vaticani?
«La sezione dedicata, come abbiamo visto, è in espansione, ma l’attenzione al contemporaneo è propria dell’intero museo. Non si può prescindere dagli artisti che vivono la nostra contemporaneità. E così è sempre stato tra coloro che hanno avuto in gestione e custodia queste collezioni, nessuno ha ignorato il presente. Tra i diversi progetti vorrei segnalare il lavoro sulla fotografia svolto con “In piena luce”, in cui abbiamo chiamato nove grandi fotografi contemporanei a interpretare i musei. La pandemia ci ha rallentato, ma intendiamo proseguire».
Ci sono opere della Collezione di arte religiosa moderna che ama in maniera particolare?
«È difficile scegliere tra tutte… ma senza dubbio la Pietà di Van Gogh, e la meraviglia della sala Matisse, con le opere per la cappella di Vence. Ma anche la Grande Aura di Guido Strazza, che ci ha donato anni fa e che oggi mettiamo in dialogo con le opere del rinascimento della nostra pinacoteca. E poi la Crocifissione di Chagall, potentissima. Ma vorrei segnalare ai visitatori un busto di Adolfo Wildt che rappresenta Pio XI, una figura determinante: fu lui ad aprire i musei al mondo all’indomani dei Patti lateranensi. Un gesto politico forte, di apertura e di coscienza delle potenzialità della cultura nell’evangelizzazione».
Venendo all’udienza di oggi, cosa significa un nuovo incontro tra il papa e gli artisti?
«Significa rinsaldare questa alleanza, come l’ha chiamata Paolo VI. È un’idea venuta insieme al cardinale Tolentino de Mendonça. Significa camminare insieme su una strada che attraverso la bellezza e la spiritualità può portare a un mondo migliore. Francesco l’ha capito e ha detto subito di sì alla proposta. Quando era in ospedale pensavamo che l’udienza sarebbe stata cancellata, e invece ha confermato. Un segno di quanto tenga a questo momento».