È il dono dei grandi attori, essere un uomo e tanti uomini, avere dentro un’umanità così grande da contenere l’umanità intera». Così Fabio Genovesi (splendido il suo ultimo romanzo Chi manda le onde, Mondadori) ha giocato d’anticipo sugli ottant’anni di Lino Banfi che cadono il prossimo 11 luglio («Anche se – precisa il festeggiato – sarei nato il 9 luglio ma all’anagrafe di Andria mi hanno registrato con due giorni di ritardo). Mentre le ultime generazioni sono abituate a vederlo come nonno Libero in
Un medico in famiglia, quelli che sono stati ragazzi negli anni ’80 lo associamo ancora alla maschera del brigadiere Pasquale Zagaria – «Il mio vero nome» - , al commissario Natale Lo Gatto, ma soprattutto a quella di Oronzo Canà,
L’allenatore nel pallone. Un evergreen, anche perché il mondo del calcio e degli stadi non è molto cambiato dal 1984, anno dell’uscita del film di Sergio Martino con protagonista assoluto Lino Banfi. «Ormai grazie a Renzo Ulivieri (presidente Assoallenatori) sono un tecnico a tutti gli effetti, da quando a
Covercieno mi hanno consegnato il diploma d’allenatore... I miei illustri colleghi e carissimi amici Ancelotti, Capello e Lippi mi chiamano “mister” dai tempi in cui uscì quel film che ormai conoscono anche in Francia ».
Quindi il calciopensiero di Oronzo Canà lo recapitiamo direttamente a Francia 2016, al ct Antonio Conte?«Certo. Conte parla una lingua un po’ strana, il salentino, ma è comunque illuminato dal mio “pugliesismo” e da come si agita e urla dalla panchina somiglia tanto a Oronzo Canà, che gli manda a dire: “
Andò, mi racco-« mando non tanto la bizona che quella va a momenti, ma con i tedeschi esci subito con il 5-5-5 e fallo durare solo cinque minuti... Vedrai che succede! Ricordati questo modulo, è nuovo, efficace, me l’ha suggerito l’Inghilterra dopo che sono usciti dall’Europa: prima con i milord in frac e bombetta che mi diventano extracomunitari e dopo con la nazionale di Hodgson buttata fuori dall’Islanda. Le risate
Andò... ».
Adesso però per l’Italia c’è la Germania, rideremo ancora noi?«Io nel mio piccolo alla Germania l’ho
freghetae fatta ridere parecchio. Neele Vollmar, la regista di
Indovina chi sposa mia figlia!, voleva che recitassi in tedesco, ma non conoscendo una parola mi sono inventato la classica
Banfionata: mi facevo scrivere le battute su cartelli feci piazzare sul soffitto o stesi al pavimento, in modo che nell’inquadratura non si capisse che leggevo... Il film fu un successo, e ancora oggi quando vado in Germania mi abbracciano urlandomi “Marcipane, Marcipane!”: è il nome del personaggio che interpretavo, Antonio Marcipane».
Come nacque invece Oronzo Canà?«Me lo ispirò Nils Liedholm. Durante dei voli aerei da Roma a Milano mi raccontava di questo Oronzo Pugliese, il “mago” di Tursi, del quale francamente sapevo poco... Con quella parlata alla Don Lurio il “Barone” mi diceva: “Ma lo sai che Pugliese si nascondeva negli armadi per spiare se i suoi giocatori andavano con le donne... Più di una volta rischiò di morire soffocato”. Dopo un centinaio di aneddoti così pensai che era tempo di farci un film».
Un film che è diventato uno “stracult”.«Ma ai tempi è stata anche la condanna di tutti i giocatori stranieri che venivano a giocare in Italia, specie dei brasiliani come il mio Aristoteles. In Brasile girammo apposta per andare allo stadio Maracanà e poter inserire la battuta
Mira Canà e il personaggio di Mara Canà, il nome della moglie di Oronzo. Alcune mie trovate sono diventate dei tormentoni, e poi alcune profezie di Canà si sono avverate...».
Per esempio?«Quando la Roma batte la mia Longobarda 5-0 Ciccio Graziani mi passa davanti e mi fa la “manita” di scherno, allora Oronzo
incavoleto gli dice: “Ridi, ridi Ciccio, un giorno sarai più
peleto di me”. Ogni volta che mi incontra Graziani si accarezza la
peleta e mi ricorda: “Ammazza Lino, me l’aveva detto Canà!”».
Il giovane Lino (come racconterà nella biografia in uscita a settembre Hottanta voglia di raccontarvi..., Mondadori) ha giocato a calcio all’oratorio nei cinque anni da seminarista. In che ruolo e a quale idolo si ispirava?«Dato il mio fisico rotondo diciamo che spesso mi scambiavano per il pallone... Il mio idolo è stato Falcão, che veniva a mangiare a casa nostra e tra lui e mia figlia Rosanna ci fu anche un flirt... Oggi lo sanno tutti, ho una venerazione per il
capiteno della Roma Francesco Totti che è anche un bravissimo attore, così come Gigi Buffon. Cassano? Ha perso un po’ di pugliesismo, ha sposato una ragazza del nord e come molti di noi gente del sud spesso ci “nordifichiamo” ».
Oltre al ct Conte, chi è un fuoriclasse del pugliesismo?«Checco Zalone. Che gioia per me è stato interpretare il senatore Binetto nel suoQuo
vado. Io Checco lo chiamo il giustiziere della pellicola, lui fa parte della famiglia dei grandi comici, quelli amati da tutte le fasce d’età, che rendono ricco il produttore con gli incassi al botteghino, ma che poi la famiglia “Di Donatello” e i signori “Oscar” fanno finta di non conoscere. Per non parlare dei critici».
Quelli che l’hanno sempre trattata come l’Italia di Conte prima degli Europei...«Direi molto peggio. Per anni mi sono sentito riportare frasi tipo: “Mi vergogno a dirlo, ma a me i film di Banfi mi fanno ridere”. Ma da vivo è capitato lo stesso anche al grandissimo Totò, quindi poi il tempo aggiusta tutto. L’unica cosa che da morto mi darebbe dispiacere sarebbe sentir dire dai quattro che porteranno la bara: “
Tecci sua, quanto pesa sto’ Banfi”. Non serbo rancore per nessuno, amo la gente e sono grato a Dio e a tutti quelli che hanno creduto in me».
Chi è stato il primo a scommettere su Lino Banfi?«Il mio amico Pippo Baudo che mi ha
fregheto di un mese, ha fatto ottant’anni il 7 giugno. Quando lo incontrai la prima volta lo chiamai
Beudolo. Io, lui e Gianni Nazzaro nel 1972-’73 giravamo le periferie romane con il Teatro Tenda. Tremila spettatori tutte le sere per il nostro varietà
Alle 9 sotto casa. Beudolonon riusciva a guardarmi in faccia, cambiavo le battute e lui rideva come un
pezzo... Gli insegnai il segreto per bloccare la risata: devi chiudere gli occhi, Pippo... ma lui più li chiudeva e più rideva».
E a Berlusconi, quanto l’ha fatto ridere?«Tanto, ma se ci ripenso mi viene da piangere. Voleva farmi un contratto di cinque anni e io gli risposi “no grazie”, preferirei essere più libero... senza sapere che un giorno avrei fatto nonno Libero. Comunque Silvio che è un altro bravoraghezzo che fa ottant’anni a settembre, è sempre stato sportivissimo. Nei due anni a Mediaset recitavo monologhi feroci in cui dicevo battute come: “Un uomo che c’ha il Milan, che fa Milano 1-2-3... pensavo fosse un gigante di tre metri, invece è più piccolo di me, ha le scarpe con il tacchetto e le orecchiette da elefantino”. Berlusconi il mattino dopo mi telefonava per dirmi: “Bravo Lino, picchia forte che mi piace”».
Per i suoi ottant’anni che regalo le piacerebbe ricevere?«Prima di tutto vorrei continuare a regalare io il sorriso al pubblico, specie a tutti i bambini del mondo che ho incontrato in questi anni da ambasciatore Unicef. Il dono di compleanno più bello sarebbe conoscere papa Francesco, magari prima che compia ottant’anni anche lui [il 17 dicembre,
ndr]. C’ho un sacco di cose da dirgli...».
Da dove comincerebbe?«Da una notte in cui ho sognato una Chiesa con due papi. C’ho scritto una poesia e l’ho raccontato a Ratzinger quando mi ha ricevuto nel suo piccolo monastero dove alloggia in Vaticano. Ci siamo seduti e papa Benedetto XVI mi ha chiesto: “Mi racconti tutta la sua vita”. Adesso vorrei raccontarla e far ridere anche papa Bergoglio, mentre so già che se ci abbracciamo a me qualche lacrimuccia scenderà di sicuro».