Ora il cerchio si sta stringendo attorno all’America latina. Se il nuovo ceppo della famigerata "malattia di Panama" dovesse penetrare anche lì, il destino della banana, così come la conosciamo e la mangiamo oggi, potrebbe essere davvero segnato. Già colpite da un altro fungo – la Sigatoka nera, che annerisce le foglie dei banani e ne abbatte la produzione del 50% –, le piantagioni mondiali di banane sono sotto l’attacco di una variante particolarmente aggressiva di fusariosi, una malattia causata da un fungo dalla quale non c’è difesa se non la prevenzione; la pianta che ne è colpita infatti non riesce più a nutrirsi per l’ostruzione del suo sistema vascolare e muore.Il Fusarium oxysporum cubense, il microrganismo responsabile della malattia di Panama, non è un nemico nuovo per le piantagioni di banani. Il primo ceppo di questo parassita apparve inizialmente nel 1890 in America centrale, precisamente – come s’intuisce dal nome comune dato alla malattia – a Panama. Vent’anni, dopo il Fusarium era già in Sudamerica ma anche in Africa e Asia. D’altronde è a un suo ceppo che si deve l’estinzione, sulla fine degli anni ’50, della variante di banana allora più consumata al mondo, la "Gros Michel", eletta a suo tempo dalle multinazionali della banana (vedi box) a standard per la distribuzione nei mercati ricchi di Usa ed Europa.Fu in conseguenza alla
débâcle della Gros Michel dinanzi alla malattia di Panama che il mondo si trovò improvvisamente a corto di banane all’inizio degli anni Sessanta. Il rimedio arrivò, pur in ritardo dal momento che i grandi produttori non volevano rassegnarsi alla perdita della loro "banana perfetta", sotto forma di un’altra variante, originaria dell’India, che con grandi investimenti logistici e strategie agrarie mirate fu promossa a "varietà mondiale della banana". Era la Cavendish e aveva un pregio impagabile: l’immunità alla malattia di Panama. O perlomeno al ceppo che aveva spazzato via la Gros Michel. Nel 1992 compare infatti in Asia un nuovo Fusarium, denominato Tropical Race 4, che dimostra di poter attaccare anche la Cavendish. Nel giro di pochi anni il ceppo arriva nelle piantagioni in Indonesia, Australia, Malesia, Taiwan, Cina del Sud e, recentemente, nelle Filippine, il massimo esportatore mondiale di banane. Ora, gli scienziati ne sono certi, toccherà ad Africa e America latina, anche perché la diffusione del parassita è agevolata dalla pratica di usare gli stessi container per il trasporto dei frutti da ogni parte del mondo questi arrivino. «Non è una questione di se ma di quando» sottolinea Turner Sutton, ricercatore al dipartimento di fitopatologia dell’Università della North Carolina. E quando arriverà nei due continenti ancora non colpiti, Tropical Race 4 sarà devastante: «Sono bastati 5 anni dall’arrivo del fungo in Malesia perché tutte le piantagioni su scala commerciale del Paese fossero spazzate via» osserva Randy Ploetz, la patologa dell’Università della Florida che per prima ha isolato il nuovo ceppo nell’isola di Sumatra.D’altronde la resistenza dei banani nei confronti dei parassiti – di qualsiasi parassita trovi il modo di attaccarli – è minima, a causa della loro perfetta omogeneità genetica. Le piante di banana infatti vengono riprodotte per talea, piantando uno o due rami – i cosiddetti "follower" – della pianta originaria che, una volta prodotto il casco, viene abbattuta per far spazio alla nuova. Il che rende i banani perfetti cloni di se stessi. Lo stesso vale per i frutti, che infatti non hanno semi: la banana Cavendish nel supermercato sotto casa è un duplicato genetico di quelle vendute dall’altra parte del mondo, ma anche del frutto che un secolo fa fu ottenuto da una variante allora selvatica del Sudest asiatico e poi portato negli anni Sessanta a produzione massiccia per sopperire all’estinzione della Gros Michel. Questa totale mancanza di diversità genetica diventa il tallone d’Achille del frutto più esportato al mondo, che oggi fronteggia la seria minaccia di estinzione.Non a caso uno dei possibili rimedi, su cui stanno lavorando alcuni produttori indipendenti, è la ri-creazione di diversità genetica mediante l’ampliamento della produzione a quante più varietà possibili. Nel suo straordinario libro-viaggio nel mondo delle banane (
Banana: the Fate of the Fruit that Changed the World - Il destino del frutto che ha cambiato il mondo), Dan Koeppel cita l’esempio di Juan Aguilar, un produttore dell’Honduras che in un appezzamento di terra poco più grande di un tipico centro commerciale americano sta facendo crescere 300 diverse varietà di banane (fra cui non c’è la Cavendish!).Ma esiste anche un’altra via per indurre varianza genetica laddove manca: la manipolazione genetica. Lavorando sul genoma della banana ormai decodificato, gli scienziati dei laboratori di Rony Swennen dell’Università Cattolica di Lovanio, in Belgio, e del Kawanda Research Institute di Kampala, in Uganda, stanno preparando una banana transgenica che incorpori cromosomi di altre specie per indurre resistenza ai flagelli cui sono soggetti, indifesi, i banani.Quale che sia la strada che potrà dare i migliori risultati, questi devono arrivare in fretta. A differenza della precedente crisi della Gros Michel, stavolta non c’è un rimpiazzo pronto dietro la Cavendish.