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La mostra a Rovigo. I bagliori e gli abbandoni di Toulouse-Lautrec

Giancarlo Papi venerdì 15 marzo 2024

Henri de Toulouse-Lautrec, "Femme se frisant”, 1890 (particolare)

In mostra c’è una incisione a colori, si intitola Pornokratès, che mostra una florida donna bendata, nuda ma con calze, scarpe, guanti e cappello, che tiene al guinzaglio un maiale, fra amorini volteggianti. È un’opera abbastanza nota di Félicien Rops, esponente paradigmatico del clima decadente diffuso nella Parigi di fine Ottocento di cui non a caso divenne uno degli illustratori più contesi e più pagati.

La mostra (catalogo Dario Cimorelli Editore) allestita a Rovigo a Palazzo Roverella, è dedicata a Henri Toulouse-Lautrec (1864-1901) e obiettivo dei curatori, Fanny Girard, Jean-David Jumeau-Lafond, Francesco Parisi, è quello di approfondire il suo personale universo pittorico, strettamente collegato all’epoca in cui è vissuto (non a lungo: è morto a trentasette anni), da sempre messo in ombra dalla più appariscente e diffusa produzione grafica.

L’idea portante della mostra è dunque quella di correggere l’impostazione tradizionale che considera l’opera grafica di Toulouse-Lautrec subordinata a quella pittorica quando invece è vero il contrario e cioè che nella sua opera è la grafica a fare da supporto ai dipinti che quasi sempre sono studi per l’utilizzazione litografica.

L’esposizione, che presenta oltre duecento opere, sessanta delle quali di Toulouse-Lautrec, offre una ampia campionatura della sua produzione fornendo uno spaccato dell’ambito in cui egli opera, mettendolo a confronto con i numerosi artisti attivi contemporaneamente negli stessi ambienti e che spesso affrontano le medesime tematiche. Un interessante focus, in proposito, è costituito dalla presentazione di alcune opere del piccolo quanto singolare movimento di Les Arts Inconhérents, anticipatore di molte tecniche adottate dalle avanguardie del Novecento a partire dal Dadaismo, opere date per disperse per oltre un secolo e ora proposte per la prima volta dopo il loro ritrovamento nel 2018.

Henri de Toulouse-Lautrec, "Divan japonais”, 1893 - Rovigo, Palazzo Roverella

Da questo contesto prende avvio la mostra con lavori di Giovanni Boldini, George Bottini, Juan Gris, tra gli altri, che rimandano al mito della Parigi a cavallo tra Ottocento e Novecento con i suoi teatri, cabaret, con Montmartre brulicante di caffè concerto e i salons riservati ai piaceri a pagamento.

Dopo una formazione accademica inscritta nella tradizione del naturalismo che la mostra documenta, è verso questi luoghi, dove si mescolano prostitute, ballerine, diseredati, alcolizzati, decaduti in cerca di paradisi artificiali e insieme elementari sensazioni, che si rivolge lo sguardo di Toulouse-Lautrec. Uno sguardo impietoso e allo stesso tempo redentore che ritrae la vita delle recluse in luoghi consacrati al piacere, asili ospitali per esuli dell’amore («In nessun altro posto mi sento più a casa mia», confessa Lautrec agli amici) lavorando con accanimento alla ricerca negli occhi, nei volti, nelle pose volgari e sguaiate delle ragazze, dell’espressione di una disperazione, di un abbandono, di un sogno infranto, di un animo opaco dominato dell’istinto.

Ma al di là del suo modo di rendere senza compiacimenti i segni del declino, nel momento in cui inizia a cogliere i tratti di una umanità ormai sfiorita, Lautrec rivela una sorprendente tenerezza e un amore pudico. È nel superamento di questa apparente contraddizione che più si manifestano la sua sottigliezza e sensibilità.

Di volta in volta colorista potente o raffinato, Lautrec elabora una linea nervosa che sa anche trasformarsi in elegante arabesco, un’immagine in cui la somiglianza col modello è sintetizzata in pochi tratti. La complementarietà del suo approccio come pittore e come litografo lo porta a questa semplificazione formale che caratterizza le opere della maturità. Femme se frisant (1890), Mademoiselle Lucie Bellanger (1896), illustrano bene questo lavoro della linea che abbozza sul cartone una silhouette di cui il non-finito è uno dei più importanti apporti di Lautrec alla modernità: l’assenza di sfondo e di elementi accessori, consente di mettere in rilievo una figura tracciata con virtuosismo, una immagine puramente plastica, ben al di là di una rappresentazione realista.

La litografia dà a Lautrec la possibilità di sfruttare pienamente questa padronanza del tratto e della composizione: dal 1891 al 1900 realizza una trentina di manifesti, alcuni di questi presenti in mostra, dedicati a vedette dello spettacolo (Aristide Bruant, Jane Avril), decisivi per il successo di locali come il Jardin de Paris o il Divan Japonais, che attestano una organizzazione dello spazio impostata su un primo piano tagliato e costruito su una diagonale, principio derivante dall’arte giapponese, che comunica una straordinaria forza d’urto.